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venerdì 18 novembre 2016

La politica svuota i piccoli centri. Qual è il disegno?

Al contrario di quanto è accaduto per eventi analoghi avvenuti in passato, per il duplice sisma del 2016 pare che la politica nei confronti dei terremotati sia molto differente. In passato si cercava di mantenere le popolazioni in loco, allestendo villaggi prefabbricati, casette di legno e poi ricostruendo i centri abitati. Una procedura lunga anni, che però manteneva vivi e vitali i territori. Col terremoto de L’Aquila sono anche apparse le cosiddette “new town”, orrori architettonici e urbanistici che hanno massacrato i centri storici e impedito la loro rinascita, tanto che ancora oggi il capoluogo abruzzese ha un centro storico pressochè deserto. Ciononostante i territori hanno continuato a vivere perché, comunque, le popolazioni sono state lasciate sul posto e il tessuto sociale non ha avuto danni permanenti.
Nel caso odierno, invece, si assiste a una politica opposta e incomprensibile: le popolazioni sono state immediatamente spostate in luoghi lontani, lungo la costa, con una sorta di deportazione pseudo-volontaria che ha immediatamente desertificato le aree geografiche colpite dal sisma. Così facendo si rischia seriamente di sfaldare il tessuto sociale e creare i presupposti perché i centri danneggiati dal terremoto rimangano città vuote, prive di strutture sociali, economia, vita.
Portare via la gente può essere un provvedimento sensato nel breve periodo, ma è indispensabile che gli abitanti tornino quanto prima nei loro paesi e ricomincino a ricostruire, prima delle case, il tessuto economico e sociale, senza il quale le città non possono vivere. Quello che si rischia che possa accadere è che le persone “trapiantate” lungo la costa qui attecchiscano e mettano radici, inizino nuove attività economiche e restino in maniera definitiva in luoghi lontani dalle loro città, causandone la morte.
Non si può permettere che città magnifiche come Norcia, Visso, addirittura Camerino e tutti gli splendidi borghi dei nostri Sibillini diventino città fantasma. Sono centri ricchi di bellezze, storia, cultura ma anche di economie che non possono finire o essere traslate altrove. La politica del governo sta andando in questa direzione e credo sia una politica dissennata, che creerà danni enormi all’economia non solo delle aree direttamente colpite dal sisma ma alle stesse regioni e scompenserà gli equilibri sociali. Mi auguro che le misure prese fino a oggi siano solo temporanee ma, essendo già passati mesi dal primo terremoto, il tempo sta rendendole in qualche modo definitive.

Luca Craia

domenica 13 dicembre 2015

A che punto è l’UNICAM?


Don Giovanni Carnevale, grande dimenticato dall'Unicam, fondatore della teoria di Carlo Magno in Val di Chienti.

La domanda, giustamente, se la pone Medardo Arduino, lo storico dell’architettura nonché autore di una delle più interessanti interpretazioni della presenza carolingia nelle Marche: a un anno dalla famosa conferenza di Macerata, nella quale si annunciarono studi accademici approfonditi sulla questione “Carlo Magno in Val di Chienti”, e dopo nutriti finanziamenti pubblici per sostenere gli studi che il professor Gilberto Pambianchi e il suo staff si accingevano a svolgere per conto e col sostegno dell’Università di Camerino, a che punto siamo?
Medardo Arduino
Al di là del discorso soldi, che pure sono importanti, saremmo tutti interessati, almeno noi appassionati si storia, di sapere circa gli sviluppi o addirittura gli esiti di questa ricerca svolta da importanti accademici e con mezzi altrettanto importanti. Purtroppo da allora nulla abbiamo saputo. Abbiamo anche organizzato un convegno a Montegranaro per parlare della questione, dove sono intervenuti tutti i titolari delle varie branche della ricerca, fin qui svolta da studiosi locali con mezzi propri, compreso il fondatore della teoria e purtroppo ingratamente dimenticato dalla stessa Università, quel Giovanni Carnevale che, per primo, volenti o nolenti, ha formulato l’ipotesi di un Carlo Magno marchigiano; ma al convegno non si è visto nemmeno un eventuale osservatore dell’Unicam.
Credo sia giusto, dopo un anno, almeno informare, fare il punto. Perché, vedete, il silenzio non è così costruttivo, non è così trasparente e, soprattutto, potrebbe far nascere qualche sospetto che, magari, non si è giunti a nulla, che siamo ancora al palo. E questo sarebbe davvero un peccato, visti i proclami iniziali e, soprattutto, l’investimento profuso. Attendiamo con fiducia di essere edotti.

Luca Craia

mercoledì 8 luglio 2015

Le grandi scoperte di Unicam



C’è stato senz’altro un fortuito incastro di casualità per far uscire l’articolo sul grande impegno dell’Università di Camerino, un articolo che parla di storia altomedievale nella valle del Chienti, proprio il giorno del Convegno che tratta di Carolingi, appunto, nella valle del Chienti. Altrimenti dovremmo pensare che i professori accademici abbiano applicato complicati calcoli per far coincidere le due cose. Preferisco immaginare che si sia trattato di fatalità.
Così come, pure, credo sia fatalità il fatto che il professor Pambianchi mai cita una parola una riferibile ai carolingi, o che, magari, faccia un qualche tipo di riferimento alle intuizioni di quel Giovanni Carnevale che domenica a Montegranaro celebravamo e che, per primo, ha formulato ipotesi su San Claudio e la valle del Chienti. Casualità che il dotto Pambianchi abbia avuto intuizioni molto simili, anche se con decenni di ritardo rispetto a quelle del Salesiano.
Casuale, probabilmente, anche che le conclusioni che si riportano nel suddetto articolo di giornale siano poi le stesse pubblicate qualche tempo fa dal Comando Carabinieri a Tutela del Patrimonio Culturale di Ancona, e coincidano con le indagini georadar del professor Cardarelli e dell’ingegner Morresi. Tante coincidenze, davvero, tanto che si potrebbe anche pensare che Pambianchi non citi quanto sopra per altri motivi. Solo che non mi viene in mente nulla per il quale si possano fare delle omissioni o si possa prendere spunto da studi altrui senza citare gli altrui. Che poi, tutto sommato, nemmeno quei sostanziosi contributi di cui gode il progetto PicHer (così si chiama lo studio dell’Unicam, originale almeno nel nome) potrebbero giustificare l’ingrato comportamento di chi salta su cavalli altrui e gli cambia pure nome. Ma non è questo il caso. Qui siamo di fronte soltanto a una serie di curiose coincidenze.

Luca Craia