Prendo spunto dal quello che ha scritto una mia amica sulla sua
bacheca di Facebook. Ilenia dice: “per un breve periodo ho avuto un negozio in
Corso Vittorio Emanuele. Dalla chiusura, 3 anni fa, non sono ripassata spesso
in quella via. L'altro ieri ho fatto un giro a piedi e sono rimasta sconvolta.
Nessuna delle attività che conoscevo, tolte pochissime e storiche, sono ancora
aperte. Ed oggi vengo pure a sapere che sta chiudendo La Bottega Dello Scolare,
pochi metri più in là. Nessuno protegge i negozianti, però in quattro e quattro
otto hanno tirato su un centro commerciale grosso quanto un quartiere,
condannando a morte le attività del vecchio Civita center altrettanto
velocemente. È così ora abbiamo centinaia di commessi sfruttati e mal pagati
che tengono aperti i negozi 7 giorni su 7, una enorme struttura in mano ai
cinesi ed un centro città in cui si respira aria di morte. Complimenti a
chiunque abbia permesso questo scempio”.
Credo che dovremmo riflettere su queste parole perché sono la cruda
realtà di molti, forse tutti, i centri abitati della nostra regione. Il
proliferare dei centri commerciali sta uccidendo il commercio dei piccoli
dettaglianti. Non è una questione di prezzi, perché non è vero che al centro
commerciali si risparmia, anzi. È, invece, una questione culturale, ma di una
cultura che ci viene indotta politicamente, con scelte ben precise che portano
a prediligere l’investimento in questi enormi scatoloni di cemento facendo
morire i centri delle città. Fermo sta morendo, Macerata non sta meglio,
Civitanova, città più vivace della zona, vive un’agonia che la porterà alla
fine. Il tutto perché si vuole portare la gente a vivere il proprio tempo
libero inscatolata nel centri commerciali.
Tutti inquadrati, tutti pilotati abilmente con scelte di marketing e
psicologia dell’acquisto che hanno basi scientifiche ben precise: la musica di
sottofondo, i colori, la disposizione dei negozi, tutto è studiato per indurre
il cliente all’acquisto emozionale. Intanto le città diventano città fantasma,
i commercianti chiudono le loro attività e la vita all’interno dei centri
abitati si spegne.
Ilenia parla anche dei commessi, categoria di lavorati tra i più
sfruttati, con orari impossibili, fine settimana lavorativi, stipendi scandalosi.
Si sta creando una nuova schiavitù, col placet delle amministrazioni locali e
dello Stato centrale che non si pone nemmeno il problema.
È ovvio che serve una legislazione che impedisca il proliferare di
questi mostri commerciali. In assenza di questa, le amministrazioni locali sono
portate ad autorizzarne l’apertura per l’introito economico, tralasciando l’impatto
sociale che questo comporta. È il caso di Civitanova ma anche di Fermo e
Macerata. E tutto questo, le scelte di queste scellerate amministrazioni
comunali, coinvolge poi e loro malgrado le cittadine e i paesini dell’hinterland
dove il commercio tradizionale non vive meglio che in città. Ma la politica non
se ne occupa.
Credo che i cittadini di buon senso e buona volontà debbano
ribellarsi. Il centro commerciale è comodo, lo so, ma si può vivere anche
senza, ed è molto più piacevole fare acquisti in un negozio tradizionale. Ed è
anche più conveniente. Allora ribelliamoci. Boicottiamo i centro commerciali.
Cerchiamo di non andarci più o, almeno, il minimo indispensabile. Rivolgiamoci al
negoziante di città, quello che ha la vetrina sulla strada e non lungo il
corridoio di un posto irreale e surreale. Facciamo la spesa nei supermercati
tradizionali, quelli del nostro paese. Prediligiamo il rapporto col negoziante
piuttosto che la corsa col carrello tra scaffali ammiccanti e studiati per
farci comprare cose che non ci servono. Boicottiamo il centro commerciale. Da
ora.
Luca Craia