La sentenza
di primo grado emessa nei giorni scorsi circa il processo relativo all’omicidio
del Nigeriano Emmanuel Chidi per mano del fermano Amedeo Mancini sembra aver
messo la parola fine a questa tristissima vicenda per la quale, oltre al morto,
la vittima è Fermo e il Fermano. La sentenza scrive una verità che, dato il
patteggiamento, viene accettata da ambo le parti e, quindi, va assunta per vera
fintanto qualcuno non voglia riscriverla ricorrendo in appello. Ma finchè la
sentenza è questa, a questa ci atteniamo.
Credo, da
osservatore esterno anche se coinvolto in quanto cittadino del Fermano
danneggiato, come tutti gli altri Fermani, dalla brutta immagine del nostro
territorio scaturita dalla vicenda, che la sentenza sia giusta e che dovrebbe
pacificare gli animi e le tifoserie. E quando parlo di tifoserie non mi
riferisco agli ultras più volte citati dai media nel racconto dei fatti;
piuttosto mi riferisco agli schieramenti popolari, abilmente manovrati da
politici, politicanti, affaristi di vario livello e media servili.
La verità
che esce dal Tribunale di Fermo parla di un uomo violento, Mancini che, dopo
una vita di violenze più o meno gratuite compiute in nome di qualcosa che
assomiglia allo sport e di ideologie bislacche riconducibili a una fantomatica
destra che esiste solo nella testa di personaggi come lui, incappa nell’errore
fatidico, esagera e uccide un uomo. Omicidio preterintenzionale, con l’aggravante
del razzismo, questa è la sentenza, parla chiaro. Ma ci sono le attenuanti, e
una, importantissima, è quella legata alla provocazione da parte del Nigeriano,
che avrebbe reagito in maniera sproporzionata all’offesa generando la rissa
dalla quale è uscito vittima. Uno scontro tra due violenti, quindi, in cui il
razzismo ha una sua valenza, certo, ma rimane legata a quel mondo bislacco di
cui sopra, in cui dire sporco negro è più o meno come dire schifoso laziale.
Cosa c’entra
Fermo? Niente. E non c’entrano i Fermani. E non c’entra un territorio tacciato
di razzismo, di xenofobia, passato su televisioni e giornali come culla dell’odio
razziale grazie alla manipolazione delle informazioni a uso e consumo di
interessi politici, economici e dello stesso processo. Si era parlato di class
action, di iniziative popolari a difesa dell’immagine della gente del Fermano.
Si è fermato tutto, giustamente. Non serve altro clamore, ora serve silenzio,
serve il tempo col quale il Fermano possa rimarginare la ferita. Servirebbero
delle scuse da parte dei grandi teatranti attori della vicenda, dei politici
venuti a fare passerella al Duomo di Fermo, degli ecclesiastici urlatori che
ora, invece, tacciono; dei giornali, dei vari Vespa e cloni di Vespa. Ma alla
fine, quello che servirebbe più di tutto, è un sano e rispettoso silenzio. E
auguriamoci non vi siano appelli in giudizio.
Luca
Craia