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martedì 26 aprile 2016

La tessera



L’altro giorno, sulla pagina Facebook dell’Ape, ho avuto una piacevole discussione con un lettore molto schierato a sinistra che mi rimproverava di vedere solo i difetti della sinistra, appunto, mentre sarei rimasto cieco di fronte a quelli della mia parte politica. Ho cercato di spiegargli che la mia parte politica non c’è più, che suono un uomo di sinistra, anche se mai marxista, e che non trovo più la mia collocazione politica; che penso liberamente non appartenendo a nessuno e non sventolando bandiere. Credo possa essere utile a chi si chiede, come l’amico di cui sopra, come diavolo la pensi e perché la pensi così, leggersi questo mio racconto, pubblicato sulla mia raccolta “I Racconti della Marca Bassa” che presto andrà in ristampa. È un racconto di vita vera perché il protagonista, Peppe, è mio nonno e i fatti sono realmente accaduti. Se vi va, leggetelo.

Peppe era un repubblicano vero, amico fraterno di Nannì il senatore, anticlericale e antifascista. Non era facile essere né l’uno né l’altro durante il ventennio, specie se gestivi una cantina in un piccolo paese. La cantina, all’epoca, era sostanzialmente un’osteria, una via di mezzo tra il bar e il ristorante di oggi. Vi si mesceva il vino e si servivano pasti semplici. Nella cantina di Peppe incontravi tutte le categorie umane e molte categorie politiche: dal gerarca fascista al comunista silenzioso (ma non silente). Peppe doveva gestirli tutti, senza inimicarsi nessuno, e in questo era un artista. Era un cantiniere fermo ed esigeva disciplina nel locale, ma sapeva essere cordiale con tutti e gli affari andavano più che bene.
Peppe non aveva grande simpatia per i comunisti, ma solidarizzava con loro in quanto non liberi di esprimere il proprio pensiero. Neanche lui lo era. Il suo amico deputato, che deputato non era più, entrava e usciva dal carcere e lui non poteva permetterselo. Aveva una famiglia, per quanto piccola, da mantenere e una figlia che adorava. Per cui la politica era bandita dal suo locale. Ma fuori, lontano da orecchie indiscrete, spesso si confrontava su quei temi con amici comunisti e socialisti, anche se spesso, molto spesso, non li condivideva. La sua idea era diversa.
Su una cosa era stato inflessibile: non aveva mai voluto prendere la tessera del partito. Di quello fascista intendo. Quella repubblicana ce l’aveva eccome, ben nascosta nel cassetto del comò, insieme alla foto di Mazzini e a quella di Garibaldi. Ci era riuscito, a non prendere la tessera intendo, per via di una forma di rispetto reciproco che sfiorava l’amicizia che lo legava al Podestà, il marchese, che era uomo integro moralmente, molto affabile, estremamente intelligente. Peccato fosse fascista, ripeteva spesso Peppe.
Un giorno, però, arrivò in cantina un garzone del marchese che trasmise l’invito perentorio di recarsi in tutta fretta in municipio perché il Podestà voleva conferire con lui. La cosa parve strana e Peppe si tolse lesto il grembiule e si recò in piazza non senza una certa apprensione. Il marchese lo ricevette subito, lo fece accomodare, e andò al dunque. Stavano per venire in paese dei gerarchi dal capoluogo e venivano appositamente per verificare voci circa alcuni cittadini che non erano ancora iscritti al partito. Volevano verificare che non fossero sovversivi, nemici della patria, comunisti insomma. “Io lo so che tu tutto sei meno che comunista, Peppe” disse il Podestà “ma comunque repubblicano lo sei, lo sanno tutti, e questo non depone a tuo favore. Senza tessera ti difendo male. Ricordati che c’hai una figlia piccola…”.  Peppe si alzò senza aprire bocca, girò sui tacchi e se ne andò con un secco “buongiorno”.
Non dormì tutta la notte, ma non ne parlò con la moglie per non crucciarla. Il mattino dopo la decisione era presa. Toccava fare la tessera. Andò dal marchese che lo accolse sorridente. Disse che era certo della sua ragionevolezza e che la tessera era già pronta sopra il suo tavolo. Peppe uscì dall’ufficio del Podestà con la tessera del Partito Nazionale Fascista in tasca e gli occhi gonfi di lacrime.
Arrivarono i gerarchi dal capoluogo nei giorni seguenti. Pestarono e purgarono, ma non Peppe. Per quasi un mese alla cantina mancarono diversi avventori abituali, tutti comunisti e socialisti. Poi ricomparvero, ma con lo sguardo truce rivolto al cantiniere. Uno si avvicinò al banco e chiese: “Non ti pesa quella tessera in tasca?”. La sera Peppe chiuse la cantina alla solita ora e fece per andare a casa ma, girato l’angolo, si trovò tre sagome grosse e scure a sbarrargli la strada. Due lo bloccarono e il terzo lo prese a pugni e calci finchè quasi svenne. Lo lasciarono accasciato a terra. Nessuno seppe mai chi fossero quei tre. Tranne Peppe.

Luca Craia

sabato 6 dicembre 2014

Questa strana voglia di dittatura



È paradossale quanto stupido ma, nel momento di massimo declino della nostra democrazia il popolo italiano senta così forte la voglia di un governo forte, la nostalgia di momenti storici vergognosi, la necessità di sovvertire definitivamente le regole democratiche guadagnando un presunto ordine. C’è voglia di dittatura in Italia e non si capisce perché. Forse, come dice qualcuno, il fascismo è nel dna dell’Italiano che, incapace sostanzialmente di autogovernarsi, preferisce delegare ogni funzione all’uomo forte, all’organizzazione politica unica che lo dispensi dal decidere, dallo scegliere, dal pensare. Che questo vada a discapito della propria libertà poco importa: ciò che conta è che vi sia finalmente ordine, tranquillità e qualcosa che somigli al benessere.
Eppure già siamo in una dittatura, seppur blanda, seppur non (troppo) violenta, seppur mascherata piuttosto bene da democrazia. Non decidiamo più i nostri rappresentanti già da un po’, le nostre decisioni, anche quelle prese con lo strumento principe della democrazia che è referendum, vengono tranquillamente stracciate, c’è un partito unico, anche se mascherato da tanti partiti e movimenti, che governa e che si oppone. È la dittatura della classe dirigente che ha sfasciato l’Italia e l’ha ridotta in questo stato. È la dittatura di quella classe dirigente che non ha alcun interesse nel lasciar vivere il popolo italiano. È la dittatura dei potenti, di quelli veri. E voi pensate che, andando verso un sistema di potere forte conclamato quale possa essere un qualcosa che ricordi il fascismo questa gente possa scomparire nel nulla? In Italia hanno sempre governato loro. Una dittatura li agevolerebbe soltanto.
Vogliamo farci togliere quel poco di libertà che abbiamo? Vogliamo farci togliere anche l’unico momento in cui diventiamo davvero temibili, cioè quando votiamo? Difendiamo la nostra libertà. Esigiamo maggiore democrazia, partecipazione maggiori diritti, maggiore libertà. Facciamo con forza, partecipando, lottando, non rassegnandoci al governo dei forti, dei potenti. Solo partecipando alla politica possiamo salvaguardare la nostra libertà. Mussolini, per fortuna, è morto da tempo e non resusciterà. I nuovi Mussolini sono molto peggiori di lui. Non sognate la dittatura. Sognate la democrazia vera.

Luca Craia

martedì 1 aprile 2014

Renzi, Napolitano e il fascismo reale



Vorrei capire perché questa urgenza di mettere mano alla Costituzione. Vorrei capire perché questa necessità di demolire il sistema parlamentare che ha garantito la democrazia in Italia per settant’anni.  Vorrei capire perché si ritiene di risolvere i problemi economici del Paese limitandone la rappresentanza democratica. Perché è questo che Renzi, con la santa benedizione di Napolitano, sta cercando di fare: smantellare pezzetto pezzetto quel poco che è rimasto di rappresentanza diretta del cittadino. Abolendo le province ma lasciandole praticamente in vigore senza pera però dare la possibilità ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti. E abolendo il Senato, facendolo diventare uno scatolone dove piazzare l’amico dell’amico. Profumatamente pagato.
Renzi e Napolitano propongono una riforma estremamente peggiorativa del livello di democrazia del Paese e lo fanno contando sul voto di un Parlamento di nominati dai partiti, non eletti dal Popolo. Invece di riformare l’Italia aumentando la rappresentatività e la democrazia si tenta, subdolamente e col pretesto di un presunto quanto fittizio risparmio economico, di creare un’oligarchia politica e partitica che non riusciremo più a scardinare qualora riuscissero nel loro intento. Il fascismo ha molte forme, alcune violente, altre subdole e insidiose. Noi Italiani ne siamo gli inventori e stiamo dimostrando di conoscere molto bene la nostra creatura.

Luca Craia