Trovo
gravissimo, non tanto per l’episodio in sé quanto per quello che rappresenta,
quello che è accaduto “Villaggio Container” di Tolentino, la mensa allestita
per gli sfollati a causa del terremoto. La notizia, apparsa ieri su diversi
notiziari online e oggi è su carta sul Corriere Adriatico è stupefacente: è
apparso su un bancone un cartello con una scritta che recita “le pietanze
preparate per la mensa del villaggio container non contengono maiale”. Ora,
tutti sappiamo che la carne di maiale non è così salutare nel caso se ne faccia
abuso, ma un consumo medio non dovrebbe comportare eccessivi rischi. Allora perché
questa premura di eliminare dalla dieta degli sfollati la carne suina?
Pare si
tratti di una forma di riguardo verso ospiti di religioni che non mangiano
maiale. Quanti sono? Non si sa esattamente, ma certamente una percentuale
esigua, tanto da non giustificare tanta premura. E qui scatta il ragionamento:
se l’italiano, che ha il maiale nella sua dieta quotidiana da sempre, non è più
libero di mangiarne quando si trovi nell’impossibilità di procurarsene da solo,
e questo avviene perché, anziché eventualmente preparare delle pietanze apposite
per i pochi che non si nutrono di maiale per precetto, lo si toglie
direttamente dal menu.
È un segno.
Certo, probabilmente lo si è fatto per semplificare, per far scorrere il
lavoro, ma rimane un segno. È il segno che la nostra cultura, i nostri usi, le
nostre stesse esigenze, per quanto noi possiamo essere (ancora) maggioritari nel
nostro Paese, passano in secondo piano di fronte a una politica che si
atrofizza su posizioni morali e ideologiche non condivise. E la mia
preoccupazione è per il futuro, perché temo che si cominci col maiale e si
finisca con la letteratura.
Luca
Craia