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lunedì 11 gennaio 2016

Integrazione e volontà di integrarsi. Lo sforzo tocca allo straniero.



Se ne parla davvero troppo poco ma il fatto è gravissimo. Mi riferisco alle violenze sessuali, perché di quello si tratta, non d’altro, perpetrate da arabi contro donne occidentali in Germania. È l’ennesima dimostrazione di quanto le nostre culture siano lontane e difficilmente conciliabili, specie in un momento in cui le tante comunità musulmane sparse in Europa dovrebbero compiere sforzi nuovi e profondi per convincerci della possibilità di integrazione tra le nostre civiltà.
Ed è proprio questo il punto: non dobbiamo più essere noi i promotori di iniziative dirette all’integrazione. Non dobbiamo essere noi a cercare l’incontro. Noi abbiamo già dato loro la possibilità di entrare in casa nostra, usufruire delle nostre strutture, lavorare nelle nostre imprese. Noi abbiamo già dato loro la possibilità di divenire cittadini italiani. Ora tocca a loro avvicinarsi e rinunciare a parte della loro cultura per adeguarsi (ripeto, adeguarsi) alla nostra, come dovremmo fare noi se andassimo nei loro paesi per viverci.
Invece, con le dovute eccezioni, ben inteso, il messaggio che arriva è ostile e, se nelle iniziative che spesso prendiamo per cercare di conciliarci traspare una volontà di avvicinamento da parte loro, poi nella vita quotidiana questo avvicinamento non è così forte, tutt’altro.
L’integrazione è possibile solo se gli stranieri vogliono davvero integrarsi e se sono disposti ad adeguare la loro cultura a quella del Paese che li ospita. Non è pensabile che il Paese ospite debba modificarsi culturalmente per favorire l’integrazione degli stranieri. Quando invece assistiamo ad atti gravissimi come quelli delle cronache recenti capiamo che siamo davvero lontanissimi dalla possibilità di integrare la cultura araba alla nostra.

Luca Craia

lunedì 16 novembre 2015

L’Italia dei derby su tutto è indifesa.



In Italia c’è sempre il derby. È sempre Roma-Lazio o Milan-Inter, per qualsiasi cosa. Non siamo mai, e ripeto mai, capaci di analizzare un problema con la dovuto lucidità, discernendo e selezionando cause ed effetti, conseguenze e soluzioni. Certo, è quello che fa l’uomo medio al bar, per strada, dal fruttivendolo. Ma quando questo meccanismo appartiene anche all’informazione e al governo allora siamo proprio fregati.
Quello che è accaduto a Parigi è spaventosamente grave. Soprattutto perché ha evidenziato come siamo incapaci di difenderci. Soprattutto perché questa nostra incapacità non è data dalla mancanza di mezzi adeguati o dalla particolare forza di chi ci attacca, ma è dato dalla nostra idiozia di fondo, quella di ridurre sempre tutto a bianco o nero, a destra e sinistra, a Milan e Inter.
Invece in mezzo al bianco e il nero ci sono un sacco di sfumature e, se vogliamo evitare di finire trucidati da un kalashnikov o vaporizzati da una bomba d’alta quota, dobbiamo cominciare a distinguerle. È necessario analizzare e capire, ma soprattutto trovare la soluzione. E questa soluzione certamente non sta da una parte o dall’altra ma sta in una posizione mediata tra le tante sfumature del problema. Non si risolve con l’espulsione di massa di tutti i musulmani, non si risolve con la politica del volemosebbene, non si risolve con le teorie paranoiche dei complotti.
Occorre prima di tutto unità, quantomeno nell’intento. Occorre smettere di sventolare la propria bandiera, sia rossa o nera, sia della Roma o della Lazio. Occorre ragionare e pensare che qui è in ballo la nostra stessa sopravvivenza e non è bombardando la Siria o cacciando gli immigrati che la potremo difendere. Ma occorrerà essere molto più rigidi, occorrerà riorganizzare drasticamente l’accoglienza dei profughi e ripensare ai criteri che consentono la permanenza degli stranieri nel nostro Paese. Occorrerà soprattutto pensare a controlli seri e scrupolosi su chi soggiorna in Italia. Un po’ di democrazia va senz’altro sacrificata.

Luca Craia

venerdì 16 gennaio 2015

Un conto è la satira, un conto l’insulto.



Premetto che ripudio ogni forma di violenza e che nulla giustifica quanto accaduto in Francia alla redazione di Charlie Hebdo, nessuno è autorizzato a fare del male, men che meno a uccidere un altro essere umano per nessun motivo al mondo. Premetto anche che la libertà di opinione e di espressione è sacra come ogni libertà, tenendo conto però che la libertà di ognuno finisce dove comincia quella degli altri. Premetto anche, e in conseguenza a quanto ho appena detto, che condanno fermamente l’attacco al giornale parigino.
Fatte queste premesse, però, vorrei illustrare il mio modesto punto di vista sulla stessa pubblicazione che, a mio parere, tutto è tranne che un giornale satirico. La satira può e, consentitemi, deve essere tagliente, cattiva, altrimenti non è satira. Ma deve avere un fine nobile, deve perseguire un ideale, deve essere uno strumento per far passare un messaggio positivo, sia esso politico o morale. E, comunque, deve avere un rispetto di fondo verso le persone. Nel caso di Charlie Hebdo non mi pare che questo fine esista o, almeno, io non lo vedo. Prendere in giro miriadi di persone per la loro religione è stupido, cattivo, irrispettoso e, soprattutto, gratuito. Qual è lo scopo di mortificare chi crede in qualcosa? Qual è lo scopo di offendere tutti i musulmani del mondo? Tutti i cattolici del mondo?
Credo, quindi, che a Parigi si sia commesso un crimine disumano. Ma che questo crimine abbia poco o niente a che vedere con la libertà di stampa, con il diritto di opinione e con la satira. Charlie Hebdo è sempre stato un giornale moralmente discutibile che utilizza l’insulto gratuito per vendere qualche copia in più. Ciò, ovviamente, è inutile dirlo, non deve essere una giustificazione per quanto accaduto. Serve solo a chiarire il punto.

Luca Craia

mercoledì 29 ottobre 2014

A Montegranaro anche sui ladri si fa politica (di bassa lega)



Sembra una cosa di poco conto ma, ragionandoci, la questione appare molto più grave di quello che sembra. Dopo il furto alla mensa comunale è partita la voce (forse più di una voce) che vorrebbe che, tra la refurtiva, non figuri la carne di maiale di cui, pure, la mensa era ben fornita tra insaccati e carne fresca. Da qui la deduzione: non rubano la carne di maiale, i musulmani non mangiano maiale, quindi i ladri sono musulmani.
Come direbbe qualche filosofo di antico retaggio, nego maiorem, nel senso che il non furto della carne suina non costituisce prova di alcunché. Ciò detto, anche assumendo che questo possa in qualche modo insospettire verso qualche etnia presente massicciamente sul territorio comunale, trovo non solo disdicevole ma anche pericoloso che, a fare certe affermazioni, siano personaggi pubblici che ricoprono ruoli istituzionali.
Lo trovo disdicevole perché l’istituzione non può lasciarsi andare ad illazioni ma tenersi ai fatti, guardandosi bene da lanciare accuse infamanti verso chiunque, sia esso un singolo soggetto che un’intera etnia. Lo trovo pericoloso perché, in un clima in cui lo straniero – e soprattutto certi stranieri – sono additati da certe parti politiche come il male assoluto e oggetto di un sempre più vistoso e montante odio razziale, l’istituzione dovrebbe accuratamente astenersi da certe dichiarazioni che producono il solo effetto di incrementare e fomentare la discriminazione. Quand’anche vi fossero indizi più certi e le indagini prendano quella direzione, ritengo sia doveroso per l’istituzione evitare di cavalcare il fatto per ragioni politiche o per pura superficialità.

Luca Craia