Ci sono
innumerevoli esempi di come, con i nuovi contratti di lavoro, che ormai tanto
nuovi non lo sono più, si sia introdotta una nuova forma di sostanziale
schiavismo imperniata sulla precarietà e sulla conseguente sudditanza del
lavoratore nei confronti del datore di lavoro o del diretto superiore. Pensiamo
ai call center, spesso portati a esempio per questa problematica, ma anche a
rapporti di lavoro diversi, come i commessi dei centri commerciali o alcune
categorie di operai manifatturieri. In realtà sono moltissimi i casi in cui,
adoperando ad arte questi contratti fortemente sbilanciati a danno del
lavoratore, si riesce a produrre l’effetto di schiavizzare quest’ultimo ed è
stupefacente l’inerzia del mondo sindacale a proposito.
Vorrei
parlare, ora, di una tipologia di lavoratore nata da pochi anni e che soffre
particolarmente di questa situazione ma che, oltretutto, vede anche un esborso
notevole da parte del lavoratore solo per poter praticare la professione. Mi
riferisco alla figura dell’operatore socio-sanitario, meglio nota con l’acronimo
O.S.S.. Per poter lavorare presso strutture pubbliche o private, l’aspirante
OSS deve propedeuticamente seguire un corso di preparazione. Tali corsi una
volta erano organizzati dalla Regione ed erano gratuiti ma oggi occorre
rivolgersi a strutture private che li organizzano dietro autorizzazione della
Regione, e il costo del corso varia dai
1500 ai 4000 Euro. Una volta superato l’esame di abilitazione parte la trafila
per trovare lavoro.
Eccetto rare
eccezioni, lavoro non si trova o, meglio, si trova accettando condizioni di
lavoro fuori da ogni norma. Lavorando nel settore socio-sanitario ci si
aspetterebbe il massimo rispetto per le normative, a tutela del paziente e dell’operatore.
Sul campo, invece, si trovano strutture in cui mancano persino gli elementi
base della sicurezza sul lavoro: si sollevano i pazienti senza sollevatori,
mancano le attrezzature, addirittura in alcuni casi mancano i presidi basilari
come il materiale per l’igiene personale del paziente. Tutto questo danneggia
il paziente e lo stesso operatore che si trova costretto a lavorare in
condizioni inadeguate, spesso pericolose per la propria salute e col rischio di
creare danno, appunto, al paziente avendone però la responsabilità civile e
penale.
Perché, in
realtà, l’operatore che si trovasse a lavorare in assenza dei requisiti di
sicurezza per se stesso e per il paziente dovrebbe rifiutarsi e avvertire le
autorità. Ma l’Oss non lo può fare. Il contratto di assunzione per l’Oss appena
uscito da un corso è quasi sempre un contratto a tempo determinato, talvolta
anche di categoria inferiore. L’Oss può rimanere senza lavoro da un momento all’altro
e, per lo stesso motivo, molto spesso è sottoposto a turni fuori legge e a
dover eseguire mansioni dequalificanti.
La questione
è che, nel mondo socio-sanitario regionale, i posti di lavoro disponibili sono un
numero pressochè chiuso e questo numero è ben noto a chi autorizza i corsi.
Eppure, nonostante esista già un forte esubero di operatori sul mercato, ogni
anno vengono autorizzati nuovi corsi, ben sapendo che i nuovi operatori formati
non avranno spazio sul mercato. L’immissione continua di nuovi lavoratori in un
mercato già saturo provoca una forte concorrenza tra gli stessi, costretti in
questo modo ad accettare condizioni di lavoro altrimenti inaccettabili pur di
conservare il posto. Tutto questo dopo aver pagato a dei privati cifre anche
piuttosto cospicue, aver svolto mesi di tirocinio gratuito presso strutture
private che utilizzano il tirocinante come bassa manovalanza gratuita, e con la
santa benedizione della Regione che autorizza sempre nuovi corsi senza
analizzare la situazione del mercato che, invece, consiglierebbe la sospensione
della formazione di nuovi operatori, e del mondo sindacale che non interviene.
In tutto questo chi ci guadagna? Si fa presto a vedere che quasi tutti gli
attori della vicenda hanno dei vantaggi, eccetto il lavoratore che, nel
miraggio di poter vincere un concorso pubblico e cambiare vita, nel frattempo
vive da schiavo per pochi spiccioli.
Luca
Craia