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martedì 7 gennaio 2014

La violenza verbale che dilaga sui social



Considero i social uno strumento formidabile per divulgare informazioni e idee e per facilitare la condivisione e il dibattito, imprescindibile per chiunque debba occuparsi di cose pubbliche. Ma il limite dello strumento sta proprio nella sua virtualità che, troppo spesso, viene intesa come protezione, schermo, maschera che rende intoccabili, impunibili. Questo evidentemente elimina ogni inibizione e libera il lato peggiore delle persone che, interpretando il mondo virtuale del social network come una zona franca dove tutto è permesso, danno sfogo alle loro frustrazioni. È un po’ il concetto del videogame, dove l’altro, anche se conosciuto come reale, sullo schermo del computer diventa avatar di se stesso, essere elettronico privo di corpo, anima e sentimenti. È una sorta di sindrome del tasto di reset, del concetto da videogame secondo il quale, sbagliando, si può sempre iniziare la partita da capo. Ecco quindi che possiamo anche calpestare e far male all’altro nella certezza che, comunque, tutto si può recuperare con un tasto.
Le frustrazioni, gli istinti repressi si moltiplicano in questi tempi confusi di crisi non solo economica ma anche e soprattutto di valori, di punti di riferimento. Nel contatto reale tra le persone, però, prevale ancora il buon senso, il rispetto reciproco anche se convenzionale. Nel mondo binario dello schermo di un computer, invece, la violenza, anche se non può mai diventare fisica, diventa strumento di comunicazione usuale. Ecco allora l’uso abituale del turpiloquio, l’insulto gratuito, l’eterna propensione ad attaccare anche quando non necessario. Quello che nella vita reale mai ci sentiremmo autorizzati a fare, con una tastiera in mano diventa normalissimo. Cade quindi una delle prerogative più positive della socializzazione elettronica, ossia la possibilità di dibattere liberamente sulle idee, per lasciar spazio alla violenza delle parole che blocca ogni forma di scambio intellettuale.
Purtroppo il fenomeno è dilagante e credo ogni utilizzatore dei social network possa verificarlo personalmente: ci sono individui, sempre più numerosi, che utilizzano la violenza verbale scissa da ogni razionalità per accedere a discussioni anche accese ma sempre incanalate sul tema specifico e improntate sul rispetto reciproco. I violenti della tastiera non partecipano alla discussione, non perdono tempo a leggere quanto già è stato scritto, si accontentano di cogliere il senso generale da un titolo o da qualche parola letta frettolosamente, e entrano nel dibattito a gamba tesa usando l’offesa, la parolaccia, l’insulto gratuito, tutto ciò quasi sempre formulando pensieri ovvi e qualunquistici.
Le conseguenze sono serie: se da un lato in questo modo la discussione muore, dall’altro il sistema si fa sempre più tollerato e condiviso tanto da divenire modus operandi anche per chi ricopre ruoli istituzionalmente avulsi  a questi toni. Così il politico cala il livello del proprio eloquio, il giornalista abbassa la qualità del parlare e la gente comune, che pure vorrebbe rimanere in canoni di discussioni rispettosi, o si adegua o batte in ritirata. È un fenomeno in crescita che va arginato, magari col semplice strumento della moderazione del dibattito: chi non rispetta la dignità dei partecipanti e l’intelligenza del discorso vada bloccato ed espulso.

Luca Craia