Quando si toccano certi argomenti si rischia sempre di essere additati
come razzisti o xenofobi. La cosa mi interessa poco in quanto non mi curo
troppo della mia popolarità e anche perché la mia storia personale parla per me
e certamente chi mi conosce mai penserebbe di accusarmi di xenofobia. Però, a
causa di questo imperante perbenismo ipocrita, comunemente definito “correttezza
politica” (per non citare l’orrendo anglicismo “political correct”), di solito
ci si schiera in due comparti stagni che sono entrambi lontani dalla realtà:
quello che equipara i diritti dell’immigrato in tutto e per tutto a quelli
degli Italiani e quello che affonderebbe di buon grado i barconi dei profughi
con tanto di bambini. Come sempre non esistono solo il bianco e il nero ma una
infinita gradazione di colori ed io, reputandomi essere pensante, preferisco
pensare muovendomi tra i colori piuttosto che dipingermi di bianco o di nero
per essere ben accetto.
Posto che tutti gli esseri umani hanno gli stessi diritti, sulla qual
cosa penso dovremmo essere tutti concordi (anche se non è così), per quanto
riguarda, all’atto pratico, l’attribuzione di questi diritti a livello sociale
ed economico mi sento di fare delle distinzioni. Nella fattispecie penso ai
tanti sussidi erogati dallo Stato italiano a cittadini stranieri che, spesse
volte, non spettano ai cittadini italiani. Penso, ancor più nello specifico perché
è cronaca recente, alle assegnazioni degli alloggi popolari: non sono affatto d’accordo
che le graduatorie siano redatte mettendo sullo stesso piano italiani e
stranieri.
Tutti hanno diritto a una casa. Non per questo chi non ha casa ha il
diritto di prendersi la tua. Ora immaginiamo che la Nazione Italia sia la
nostra casa. Questa casa è stata costruita col lavoro e il sacrificio nostro,
ma anche dei nostri padri e dei nostri nonni. Se oggi questa casa ha dei
servizi è perché questi servizi sono stati realizzati con il lavoro, il
sacrificio, le tasse degli Italiani nel tempo. Credo sia giusto che chi ha di
più sia disposto all’aiuto di chi ha di meno. Ma non credo che sia giusto che
chi ha costruito la sua casa, o almeno ne ha contribuito alla costruzione, sia
messo sullo stesso piano di chi, invece, non ha fatto nulla.
Per questo ritengo che per l’assegnazione di alloggi popolari (così
come di altri sussidi sociali) sia necessario tenere conto della
cittadinanza. Nelle graduatorie, a
parità di requisiti, il cittadino italiano deve avere maggior peso e questo peso
deve variare anche in funzione della durata della cittadinanza, anche
considerando le passate generazioni. Credo che sia una forma di giustizia
sociale.
Luca Craia