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mercoledì 28 settembre 2016

Il ponte di Messina e i volontari richiedenti asilo



Non sono un esperto di economia per cui vi trasmetto il mio dubbio, che è il dubbio dell’uomo di strada, che fa due conti e che magari questi conti non tornano. Magari qualcuno più ferrato di me in questioni macroeconomiche e in economia del lavoro può darmi qualche lume.
Il dubbio che mi pongo riguarda la dicotomia tra quanto afferma il Premier sul ponte di Messina e la politica di integrazione dei migranti. In sostanza, non riesco a capire perché si vorrebbe fare, almeno a chiacchiere, il ponte sullo stretto, non tanto per la necessità che si senta dello stesso, quanto per creare posti di lavoro e, nello stesso tempo, si siglano accordi periferici, sventolati in pompa magna, come nel caso del Comune di Montegranaro, per impiegare i richiedenti asilo come lavoratori volontari.
Se è vero che spendere soldi pubblici, tanti, per creare una struttura costosissima, antieconomica, molto probabilmente inutile, di impatto ambientale criminale, potenzialmente pericolosa e poco duratura nel tempo, sarebbe comunque cosa buona in quanto darebbe lavoro a centinaia di persone, è anche vero che, utilizzare e, se vogliamo, sfruttare i richiedenti asilo per lavori socialmente utili senza pagarli, pur facendo risparmiare qualche centesimo alle casse dello Stato, nella fattispecie, dei Comuni, posti di lavoro ne toglierebbe.
Perché, vedete, io che non capisco quasi niente di economia, ho l’impressione che i lavori socialmente utili svolti gratis dai volontari involontari richiedenti asilo, non ci fossero i volontari involontari, li farebbe qualcun altro, magari pagato, quindi in questo modo è vero che si risparmia, ma si togliere lavoro, creando conseguentemente un danno, piccolo o grande che sia, all’occupazione e al PIL. O no?

Luca Craia

giovedì 22 settembre 2016

A parte il magnamagna, le olimpiadi a che servono?



Voglio fare una breve considerazione sulla questione delle Olimpiadi a Roma perché, francamente, non capisco. Ci sono, come sempre in Italia, le due tifoserie opposte, il bianco e il nero senza sfumature intermedie, che si battono a colpi di dialettica (dialettica?) per perorare la propria causa. Solo che chi è contrario alle olimpiadi spiega il motivo, ossia che non sarebbe questo il momento di spendere tutti i soldi necessari per l’organizzazione di un evento di questo tipo. L’altro fronte, quello favorevole ai giochi a Roma, spiega il suo convincimento proponendo a motivazione il prestigio che ne seguirebbe. Ma, in fatto di spreco di soldi, non controbattono.
Ora mi domando: visto che i debiti delle olimpiadi di Roma del ’60 li stiamo ancora pagando e quelli del Mondiale di Calcio del ’90 dovremmo aver finito di pagarli da poco, quale sarebbe il vantaggio per l’Italia, a parte il prestigio che, come ben sappiamo, non si mangia, nell’investire una somma verosimilmente ingente per organizzare le olimpiadi? Il cittadino italiano che vantaggio ne trarrebbe?
Qualcuno mi ha già risposto che, investendo in questo senso, si muove l’economia e si stimola la crescita, che l’investimento in lavori pubblici dovrebbe muovere il PIL eccetera eccetera. Posto che gli investimenti di questo genere, in passato, non hanno dato grandi risultati in questo senso ma hanno contribuito alla crescita del debito pubblico, l’idea generale che riesco a farmi è che l’unico vantaggio sia per la solita cricca distributrice di mazzette e bustarelle. E al cittadino rimangono, come al solito, i debiti da pagare. Oltre che il prestigio, naturalmente.

Luca Craia