Due parole sul mio blog sull’attuale questione della settimana corta o
lunga a scuola le voglio dire anch’io da osservatore esterno, essendo ormai i
miei figli cresciuti e fuori da queste beghe. Quello che salta all’occhio e
che, forse, è la cosa più triste di questa vicenda è la politicizzazione
estrema di questioni in cui la politica non dovrebbe entrare nemmeno di
sfuggita. C’è un evidente regia politica in tutto quello che sta accadendo, una
regia che si è subito manifestata dopo l’insediamento dell’attuale amministrazione
comunale che, fina dai primi giorni, manifestava la contrarietà alla mensa per
le scuole elementari dovuta, pare, a questioni di bilancio. Un bilancio che,
però, non pare così disastrato come si vorrebbe far credere visto che, per
altri settori, i soldi ci sono eccome.
La politica nella scuola c’è sempre stata, non voglio fare l’ingenuo,
lo so benissimo. Ma mai è stata così palese la sua pressione, mai si è vista
così manifestatamente l’ingerenza del potere politico sull’insegnamento. Forse perché
il Sindaco è un’insegnante, forse perché si è capito che la scuola è un nodo
politicamente strategico, forse per questioni di mero potere di posizione.
Fatto sta che abbiamo assistito, e continuiamo ad assistere, a scene brutte che
con l’educazione dei giovani non c’entrano niente.
Abbiamo visto, per fare un esempio, una campagna elettorale a scuola,
una campagna elettorale fatta di muro contro muro per eleggere i rappresentanti
dei genitori in seno al Consiglio di Istituto. Abbiamo visto lotte interne ed
esterne, accordi strategici, manovre che, normalmente appartengono a sfere
diverse da quella dell’insegnamento e dell’educazione. Abbiamo letto proclami
post elettorali che sembravano quelli dei partiti dopo le elezioni politiche,
dove tutti hanno vinto e nessuno ha perso. E, oggi, assistiamo a questo
capolavoro strategico del referendum, evidentemente studiato a tavolino per
fare in modo di non raggiungere il quorum e poter prendere liberamente la
decisione politicamente più opportuna, decisione già presa dal corpo docente.
È una grave involuzione della scuola montegranarese, come sempre
quando si tolgono dei servizi. Quando il mondo civile imposta la scuola come
centro di formazione globale, sociale oltre che culturale, proponendola come
luogo in cui il giovane passa l’intera giornata e dove può trovare dallo studio
allo sport passando per la cultura extrascolastica, da noi si torna al passato,
con la scuola che si arrende per quanto riguarda l’educazione e si pone solo
come formatrice culturale, lasciando gran parte del tempo del giovane ad altre
forme di formazione, sempre che ve ne siano.
La scuola, nei paesi civili, deve essere a tempo pieno. Da noi si
limita a cinque ora la mattina. Non si occupa di sport, di teatro, di
letteratura se non per quello che riguarda lo stretto programma scolastico. Chi
vuole fare sport paghi la retta alle società sportive. Chi vuole fare musica si
iscriva a una scuola privata. Ci si limita a dare il servizio minimo. È un
regresso enorme, produce ignoranza e disservizi. Fa risparmiare, è vero, ma
crea un danno notevole. E chi oggi e, forse, domani, dopo l’esito del
referendum, si beerà di tutto questo come di una vittorio politica (perché di
questo si tratta) si assumerà una gravissima responsabilità per il futuro dei
nostri giovani.
Luca Craia