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mercoledì 4 maggio 2016

Denuncia di un crimine - di Giorgio Rapanelli

Ho riletto con interesse, con dolore e con rabbia ciò che disse Elisabeth de Moreau d’Andoy al Convegno “L’Alto Medioevo Carolingio in Val di Chienti”, il 5 luglio 2015 a Montegranaro, e che trovate più sotto, e cosa ha poi scritto, in Inglese, nel suo ultimo  libro “Charlemagne, The Dark Secret”, facendolo sapere a chi legge l’Inglese in tutto il pianeta. Elisabeth de Moreau d’Andoy ha scritto che noi  Italiani abbiamo distrutto alcune “prove storiche” nel mausoleo di San Paolino in Falerone, oltre alle tombe profanate di aristocratici, di cui sarebbe stato importante rilevare il DNA; “prove storiche” che avrebbero avallato ciò che da trenta anni il professor Giovanni Carnevale ed altri vanno sostenendo: ossia, che Carlo Magno era qui, in provincia di Macerata, in Val di Chienti, con la sua Cappella Palatina e la sua Aquisgrana, lasciando le sue tracce nella provincia di Macerata e di Fermo. Con ciò, Aquisgrana e la Cappella Palatina non erano ad Aachen in Germania.
Si può politicamente capire che la Chiesa non mosse ciglio quando Federico Barbarossa, sconfitto in Italia, traslò le spoglie di Carlo Magno e le suppellettili della Cappella Palatina da San Claudio al Chienti ad Aachen. L’obiettivo della Chiesa era quello di occupare le terre lasciate dagli eredi di Carlo Magno. Ma continuare fino a tempi recenti ad occultare, o a distruggere nella stessa Abbazia di San Claudio le prove monumentali storiche, insieme alle salme degli Imperatori e dei Papi ivi sepolte, come avvenne nel 1926 col restauro dell’Abbazia di San Claudio, e successivamente,  dopo il 2011, come è avvenuto a San Paolino di Falerone, fa pensare ad una sciatteria, ad un disinteresse, ad una mancanza di amore, di strategia da parte delle stesse comunità locali e dei loro amministratori, nonché ad una mancanza di controllo da parte chi deve tutelare monumenti e Storia. Ossia la Sovrintendenza. Nessuno pensa che distruggendo le nostre eccellenze monumentali e artistiche si distrugge, come minimo, il nostro Turismo?
Anche nel Comune di Corridonia si è permesso di distruggere, per comprensibili interessi privati, la fisionomia di edifici medievali. Oggi, questi non sono più edifici medievali, ma edifici resi moderni, seppure  costruiti con mattoni d’epoca. Ultimo sfregio, recentissimo,  è stato verso l’unico edificio rimasto del XV secolo, con il rimaneggiamento di finestre d’epoca per renderle più “fruibili oggi. Come ha fatto  il Comune di Corridonia ad approvare questo scempio?...
Abbiamo foto di Corridonia di fine Ottocento, o inizi del 900 in cui si vede un portale medievale in pietra di una chiesa, poi distrutto. Abbiamo la foto della merlatura del palazzo vescovile medievale, poi eliminata. Purtroppo, erano epoche in cui gli edifici storici non erano  tutelati dalla legge 1089/1939. Corridonia è la battistrada dei Comuni che si fanno vanto di modernizzare, distruggendo. C’è stata pure la mania dei nuovi nomi della città (Pausula prima e Corridonia poi), in voga nel XIX e nel XX secolo; una mania  che dimostra che si è voluto cancellare perfino il ricordo di Montolmo, città importante nella Storia della Marca Fermana.  
Il mausoleo di San Paolino è stato distrutto una manciata di anni fa. Cosa dobbiamo pensare degli amministratori e dei cittadini di Falerone e della Soprintendenza regionale?

Giorgio Rapanelli


Elisabeth de Moreau d’Andoy


Convegno di Montegranaro 05/07/2015

L’ALTO MEDIOEVO CAROLINGIO IN VAL DI CHIENTI

I Franchi erano un popolo venuto dal Nord. Lo dicono più scrittori altomedievali come per esempio Sidoine Apollinaire che, nell’anno 458, li descriva come biondi ed alti. Niente da che vedere con le popolazioni celtiche già stanziate da secoli in Europa centrale dall’Irlanda alla Russia esclusa, fino all’Italia Centrale. I Celti erano bassi e bruni. Per convincersene, basta visitare il museo archeologico di Ancona che ha corredi di tombe Celtiche.
E dal momento che parliamo del museo archeologico di Ancona, è da notare che non esistono reperti dei pezzi archeologici: ne di quelli messi in mostra, ne di quelli tenuti nei depositi. Non c’è una lista dei reperti archeologici che si trovano al Museo Nazionale delle Marche e ancora di meno nei suoi depositi.
Personalmente non penso che sia una questione di pigrizia o di imperizia. Penso che la non tracciabilità è voluta.
Opacità totale è la parola d’ordine.
Questi Franchi si sono coagulati nella Gallia Belga verso l’anno 350. La Gallia Belgica, come la chiamavano i Romani, comprendeva il Belgio-Lussemburgo, il Nord della Francia e una fetta di Germania. Questi Franchi avevano già un re nell’anno 400: Théodomer. I primi re Franchi conosciuti della dinastia dei Merovingi erano Franchi Salii e avevano come capitale Tournai in Belgio.
Il bisnonno di Carlo Magno, Pipino ii di Herstal, governava il regno dei Franchi in nome del Re Merovingio.
Il nonno di Carlo Magno: Carlo Martello era un grande generale del Re Merovingio Thierry iv, in Gallia.
I Merovingi hanno allargato il loro regno fino al colpo di stato del 753 quando un’altra famiglia imparentata, la famiglia di Carlo Magno, ha preso il potere. Sui Merovingi, ci sono più di dieci fonti scritte e importanti ritrovamenti archeologici. Ci sono gli annali della famiglia regnante, ma ci sono pure gli annali e gli archivi privati di certe grande famiglie Franche che esistono tutt’oggi. Ho potuto consultare tre di questi archivi.
E’ a Tournai in Belgio che è stato trovato il meraviglioso tesoro di Re Childéric.
Nell’Impero Romano vigeva la stessa situazione che troviamo oggi in Italia: c’è la lingua ufficiale che è l’Italiano, ma sussistono i dialetti. Nell’Impero Romano c’era il Latino come lingua ufficiale e le varie lingue del mosaico di popoli che lo componevano.
I Franchi avevano la loro lingua come tutti.
Basta leggere il nome dei loro re e grandi nobili per capire che non sono nomi latini, ne celtici e neanche germanici: Theodomer, Clodion, Mérovée, Clovis, Cholart, Clodovald, Teutomer, Richomer, Arbogast, Audofleda, Lanthide, Alboflède, Clothilde, Thierry, Clothaire, Childebert, Childéric, Gontran, Thibaut  ecc. Più nomi hanno il suffisso “mer”. In sanscrito, metr vuol dire costruttore senza parlare di Childeric: il figlio di Eric. La storia ufficiale dice che la loro lingua era il “Francique”. Ma il Francique è già un miscuglio di lingua Franca e di lingua Germanica. Dunque la lingua originale dei Franchi non è il Francique.
Ho cominciato una lista di parole che sono sicuramente in lingua franca. Sono molto affini al sanscrito, la lingua sacra Indiana, il che vuol dire che la lingua dei Franchi era ancora molto vicina alla lingua madre dei Indo-Europei.
La loro lingua è sparita ma ne hanno parlato più scrittori, per esempio Eginardo, che ha scritto che Carlo Magno stava compilando un dizionario. Donizone ancora all’inizio del xii° secolo, nella sua Vita di Mathilde, qualificava la bionda Mathilde di Canossa di “Franca” che parlava la sua lingua “bella e sonora” (questo esclude il tedesco e l’olandese).


Foto 2


All’epoca di Carlo Magno cioè nel secolo viii, Aachen (erroneamente chiamata Aquisgrana) non era in Germania. Si trovava nella Gallia Belga, nella diocesi di Tongres. Questa diocesi fu fondata nel iv° secolo da San Servais, e diventerà poi la diocesi di Liegi.
E’ soltanto nel xvi° secolo che passò alla Germania.
La storia che riguarda Aachen deve dunque essere cercata in quella di Liegi, piuttosto che nella storia della Germania.
Se Aachen si fosse chiamata Aquisgrana o Aquisgranum in Francese, si dovrebbe necessariamente ritrovare questa informazione nella storia del territorio di Tongres/Liegi. Invece, non c’è.
Stranamente, questa parola non esiste né nei dizionari, né nelle enciclopedie francesi.
I libri di storia altomedievale di Liegi colpiscono per la totale assenza di Carlo Magno e dei Carolingi, a partire da Carlo Martello, nonno di Carlo Magno.

Un altro dettaglio illuminante è questo: la diocesi di Tongres/Liegi avrebbe dovuto essere la prima diocesi dell’Impero dal momento che la sede degli Imperatori d’Occidente avrebbe dovuto essere sul suo territorio. Invece, non se ne parla mai.
L’impero di Carlo Magno non pare, poi, aver avuto alcun ruolo nella sua vita ordinaria.

Logicamente, Carlo Magno avrebbe potuto essere tumulato ad Aachen, dal momento che la sua famiglia era originaria della zona di Liegi. Ma i Carolingi avevano lasciato la Gallia Belga due generazioni prima.


Ogni anno, più di un milione di turisti vanno ad Aachen per vedere la tomba di Carlo Magno.
C’è un problema però: ad Aachen, non è stata trovata nessuna tomba di Carlo Magno.

Invece la tomba di Carlo Magno era stata aperta nell’anno mille dall’Imperatore Ottone iii e dal suo amico il Conte di Lomello. Quest’ultimo ha raccontato la sua esperienza ad un monaco che l’ha consegnata nel Chronicon Novaliciense.
Descrive una tomba ipogea, con i muri e il soffitto coperti di marmo. L’imperatore era seduto in mezzo su un trono con la corona in testa e un scettro in mano.
Se si fa un minimo di ricerca, si trova che le tombe sedute di personaggi importanti sono presenti in tutte le nazioni che hanno ricevuto l’influenza delle popolazioni ariane, cioè in tutti i paesi che hanno una tradizione indo-europea, dall’Atlantico al Nord dell’India.

La tomba di Carlo Magno non è l’unica cosa che non è stata trovata ad Aachen e dintorni.
Non c’è neanche la sua capitale, la fondazione della quale è descritta dal poeta franco Angilberto.
Quando i Tedeschi hanno scavato il suolo per posare le fogne pubbliche della città di Aachen, quando hanno costruito i sottopassaggi per le macchine ed i parcheggi sotterranei, avrebbero dovuto trovare la capitale di Carlo Magno.
Invece, non hanno trovato nulla.

Vediamo adesso il duomo di Aachen.

Foto 2


Non ho bisogno di dirvi che questa è una cattedrale gotica – si vede.

Quando uno fa notare a certi storici tedeschi che il duomo di Aachen è una cattedrale gotica, rispondono che la cappella palatina è la parte ottagonale con la cupola carolingia a bolla di sapone.
Invece, nella letteratura altomedievale, compresa una lettera scritta da Alcuino all’Imperatore, la cappella palatina è stata descritta avere una pianta quadrata con quattro pilastri o colonne, articolata su due piani aperti al centro, dotata di una cupola e di due torri scalari ai suoi lati.
Qui ci presentano una parte di fabbricato ottagonale.

Oggi, vediamo appeso al centro della ”cupola carolingia” un enorme candelabro di bronzo. Ufficialmente, questo manufatto è un dono votivo del Barbarossa vissuto nel xii° secolo.
Ma neanche questo è credibile.
La cupola attuale è molto resistente perché è rinforzata da cerchi metallici. Questa cupola è dunque costosa, il che non sarebbe servito a nulla senza il candelabro. Ma all’epoca di Carlo Magno, non si utilizzavano cerchi metallici di rinforzo.

Foto 3


È abbastanza assurdo immaginare che la cupola abbia potuto essere costruita per ordine di Carlo Magno intorno all’anno 770-80 per sostenere unicamente il suo stesso peso, e che poi, circa 400 anni più tardi, si sia inserito proprio al centro questo enorme candelabro del Barbarossa che pesa più tonnellate. Senza parlare del problema tecnico del suo fissaggio, la cupola dell’ottavo secolo, sarebbe crollata.

Sembra dunque che la cupola sia stata costruita per ospitare l’enorme candelabro e non il contrario.


Albrecht Dürer, il grande artista tedesco, risolve il problema della cosiddetta “cupola carolingia”. Nel suo disegno datato 1520 non c'è ancora nessuna cupola!
L’anno 1520 poi è l’anno dell’incoronazione dell’Imperatore Carlo Quinto d’Asburgo nel duomo di Aachen. Dürer era presente e questo conferma che conosceva benissimo i luoghi che ha disegnato.
Ci sono altri disegni tedeschi della stessa epoca che fanno vedere il duomo di Aachen sempre senza la “cupola carolingia”.

Foto 4


Sappiamo per certo che Teodolfo, teologo, poeta, vescovo di Orléans, uomo di fiducia di Carlo Magno e uno dei suoi più potenti missi si fece costruire a Germigny-des-Prés nei pressi di Orléans in Francia, un oratorio sul modello della cappella palatina di Aquisgrana. Teodolfo stesso la descriveva come una “basilicam miri operis, instar eius quae Aquis est constituta“, cioè una bellissima basilica edificata sul modello di quella di Aquis.

Foto 5


Ecco Germingy-des-Prés. Secondo voi  assomiglia ad Aachen?
Adesso, vediamo la pianta. Come vedete, è quadrata, con 4 colonne o pilastri e corrisponde alle descrizione della cappella palatina di Carlo Magno che abbiamo. E’una pianta che conosciamo poiché più chiese di questa zona delle Marche hanno la stessa.

Foto 6



Germigny-des-Prés

Adesso vediamo la pianta di Aachen.

Foto 7



Aachen

Vi sembra che Germigny-des-Prés fosse stato copiato su Aachen?


I commenti dell’esperto tedesco Arnold Nasselrath per la mostra al Vaticano su Carlo Magno nel 2002, Carlo Magno a Roma, sembrano confermare che il Duomo di Aachen non risalga affatto all’ottavo secolo. Più precisamente, a pagina 103 del catalogo dell’esposizione scrive:
Vi sono crescenti dubbi che sia stato proprio Carlo Magno l’ideatore di questa perfetta scenografia (di Aachen). È più probabile che essa sia stata realizzata nel periodo ottoniano e attribuita a Carlo Magno a sostegno del mito creatosi intorno alla sua figura. In tal caso la simbologia scelta appositamente dai successori di Carlo Magno si sarebbe trasformata in interpretazione storica, senza che nessuno se ne accorgesse.”


Gli ultimi scavi archeologici effettuati ad Aachen, diretti dall’architetto Andreas Schaub, sono stati catastrofici dal punto di vista dei Tedeschi. Per vedere che cosa c’è sotto il coro, sotto il resto della cattedrale e soprattutto l’atrio dove poteva essere la tomba di Carlo Magno, si sono anche scavati dei tunnel. Risultato? non c’è assolutamente nulla.
Questi scavi dimostrerebbero che, a parte per qualche pietra di epoca romana e un pezzo di legno, non c’è nulla di anteriore al xii°-xiii° secolo. Gli scavi si sono chiusi con un comunicato stampa dello Schaub che dice proprio questo.
Ci sarebbe dunque un divario di quattro secoli tra la costruzione del duomo di Aachen e l’epoca di Carlo Magno.
Un articolo è stato pubblicato in: Der Spiegel il 19.05.2010 e poi ripreso dalla stampa specialistica nel mondo intero. Per esempio in “Archaeological News”.
Sfortunatamente, da allora il Länder Nordrhein-Westfalen, ha pubblicato libri che sostengono il contrario: cioè che il duomo di Aachen è tutto carolingio.
Sarà perché non vogliono perdere i turisti?


Abbiamo visto velocemente che Aachen, quasi sicuramente, non è Aquisgrana.
Vorrei adesso parlare di un altro elemento che ha la sua importanza nella storia altomedievale: le Alpi.
Perché ci sono anche legittimi dubbi sulla teoria storica che fa andare più Papi a visitare Pipino il Breve o passare il Natale con Carlo Magno nel Nord della Gallia.

Cominciamo con il viaggio di Papa Stefano ii.
La ricostruzione accettata del viaggio e dell’incontro tra Stefano ii e Pipino il Breve nel 752 è quantomeno sorprendente. Il papa dichiarò che andava in Francia e la storia ufficiale lo fa partire da Pavia verso Nord, per la Gallia, in pieno inverno. Gli si fa passare le Alpi – con tutto il suo seguito di diverse centinaia di persone, di cardinali e di prelati, accompagnati da una scorta militare, da servi e cavalcature – attraverso valichi chiusi dalla neve.

Abbiamo tre fonti medievali che descrivono questo viaggio verso la Francia in modo completamente diverso. E in questo caso, il testo Latino dice proprio Francia. Non dice Gallia.

Voglio nominare le tre fonti perché non sono da meno:
il Liber Pontificalis propriamente detto, Andrea Agnello Ravennate nel suo Liber pontificalis ecclesiae ravennate e Anastasius Bibliothecarius.
Riferiscono tutti tre un altro percorso per Papa Stefano ii da Pavia a Sanctum Dionysium (Saint-Denis) in Francia. Partiva da Pavia dove aveva avuto un diverbio col re Longobardo. Invece di partire per il Nord, è partito in direzione Est e si è recato a Ravenna. Da lì è ripartito verso Sud passando dal Monte Giove. E’ entrato in Francia dalla valle del Sentino alle Chiuse franche, ed è stato ricevuto dal giovane Carlo Magno a Campum Longum.
Le chiuse si chiamano ancora così: San Vittore delle Chiuse e c’è Campo Lungo nella frazione Burella di Morrovalle sopra San Claudio.


Dobbiamo anche notare che c’è sempre una confusione tra la Francia di oggi, che si è chiamata Gallia fino all’anno mille, o anche più tardi, e la Francia di allora che era ovviamente un’altra cosa.
Carlo Magno chiamava la Francia di oggi “Il Regno dei Franchi”. Non la Francia.

Vediamo un secondo viaggio papale.
Papa Leone iii ha trascorso il Natale 804 con Carlo Magno a Querzy, ufficialmente nel Nord della Gallia. In realtà i testi medievali in Latino non dicono Querzy, ma Villa Carisiaca.
Secondo la storia ufficiale, il papa fa 1.500 km a dicembre attraverso le Alpi con tutto il suo seguito, passa una settimana con l’imperatore e ai primi di gennaio rifà lo stesso viaggio in senso inverso.

I tre valichi maggiormente utilizzati erano: il Piccolo San Bernardo (2.146 m), il Moncenisio (2.083 m) e il Monginevro (1.850 m). Solo tenendo conto dell’altitudine, si capisce che in inverno erano chiusi.

Possiamo immaginare che cos’era lo spostamento di una corte ecclesiastica in base alla contabilità di Ippolito d’Este, che si trova negli archivi della città di Modena. Ippolito d’Este era il figlio di Lucrezia Borgia (1479-1520), il che ci rimanda al xvi° secolo, ma Este non era papa, era un cardinale.

Questa contabilità è stata studiata dalla ricercatrice americana Mary Hollingsworth che ha scritto il libro: “The Cardinal’s Hat”.
Si  vede, conti alla mano, come si organizzavano le trasferte delle corti ecclesiastiche e che cosa comportavano. I papi viaggiavano con tutta la loro famiglia. I cavalli da montare, gli animali da soma e il foraggio, il personale che si occupava degli animali, le guardie armate, persone addette ai più svariati mestieri, il personale di servizio. Viaggiavano con il loro guardaroba al completo e i loro sarti, tessuti, mobili ecc.. Per non parlare del fatto che i papi erano accompagnati da cardinali che, a loro volta, si spostavano con i loro collaboratori famigliari. Tutta questa gente doveva mangiare e dormire.

Voglio menzionare un ultimo viaggio: quello della giovane Regina Ildegarda che nel 773 venne a trascorrere il Natale con Carlo Magno, occupato nell’assedio di Pavia. Ella veniva certamente dal Sud e non dal Nord, poiché non avrebbe potuto attraversare le Alpi con il suo seguito.

La conclusione che possiamo trarre da quanto esposto è che è molto dubbioso che Carlo Magno avesse il suo palazzo, la sua capitale e il suo quartiere generale in Aachen.
In effetti, questi non sono stati trovati.

Ci chiediamo, poi, se si trovavano a Nord delle Alpi per le ragioni geografiche, logistiche e climatiche che abbiamo considerato.

Dobbiamo allora ricercare un territorio a Sud delle Alpi che corrisponda alle descrizioni della letteratura altomedievale.
Un territorio corrisponde perfettamente a queste descrizioni: il Piceno.

Foto 8                   
(foto de Moreau)

Ho un’ultima cosa da dirvi che entra nel discorso generale degli studi che facciamo:
La chiesa San Paolino di Falerone è stata riaperta al pubblico il 25 Aprile 2015, dopo decenni di lavori di restauro.
Il coro è quadrato. Quando ho fatto delle foto attraverso la finestra nel 2010-11, c’erano una tomba importante su un lato e 4-5 sull’altro lato. La tomba importante potrebbe benissimo essere la tomba della prima moglie di Carlomagno.
Con tutte queste tombe, non c’era posto per riti religiosi come la messa. La navata è stata costruita 300-400 anni dopo il coro per trasformare un mausoleo in chiesa, come è stato fatto da per tutto nelle Marche.
I mausolei sono stati trasformati in chiese o in cripte sotto una chiesa costruita secoli dopo.
Io non ho il tempo di fare tutto. Chiedo a volontari tra di voi di contattare il Comune. Sarebbe importante sapere chi ha autorizzato i lavori, chi li ha pagati. L’architetto si chiama Evelina Ramadori. Si DEVE chiedere di disporre all’entrata della chiesa cartelli con foto dei restauri e spiegazioni, come è stato fatto a Rambona.
Impedite che vi distruggano la vostra storia, sotto i vostri occhi.
Fate un comitato di pressione. Pubblicate articoli nei giornali di Macerata e chiedete testimoni e foto scattate attraverso la finestra che è rimasta aperta per decenni.
Anch’io sono un testimone, ce ne sono altri nel pubblico.
Fate le denuncie. Questo territorio è vostro. Difendetelo!

Foto 9
                       (foto de Moreau)

mercoledì 27 aprile 2016

L’Università a San Claudio. Finalmente. Ma senza umiltà.



Stamattina, quasi come fosse un blitz, alcuni rappresentanti dell’Unicam si sono presentati a San Claudio al Chienti, attrezzati per benino con il georadar, per fare delle prospezioni sul sottosuolo insistente l’antica abbazia. Verrebbe da dire finalmente, visto che, a oltre un anno dalla partenza del progetto di ricerca guidato dal Prof. Pambianchi, è il primo segnale concreto che si stia muovendo qualcosa. È anche la prima volta che l’Unicam si reca a San Claudio in maniera ufficiale, e anche questo è un fatto importante: testimonia che le teorie sui Franchi nel Piceno forse non sono così strambe come qualche illustre accademico ha sempre cercato di far credere.
Il punto, però, è che, ancora una volta, l’Unicam fa da sé. Il mondo universitario non si abbassa, non dialoga con chi sta portando avanti e studiando la teoria dei Carolingi in Val di Chienti da anni. E, soprattutto, continua a snobbare l’uomo senza il quale la teoria non esisterebbe e, diciamolo chiaramente, oggi l’Unicam, starebbe a fare il georadar altrove, o forse non lo farebbe per niente. Logicamente mi riferisco a don Giovanni Carnevale, dall’intuizione del quale (e dai suoi successivi studi) si è mossa questa ondata di fermento culturale e di ricerca che, alla fine, ha coinvolto anche il mondo accademico.
Onestà intellettuale pretenderebbe un tributo a don Carnevale e un suo coinvolgimento negli studi che si stanno facendo. E sarebbe cosa intelligente confrontarsi con tutto il mondo degli studiosi, ancorché amatoriali se vogliamo, che stanno portando avanti il processo di ricerca con o senza i potenti mezzi dell’Università. Sarebbe cosa intelligente, dicevo, ma richiederebbe anche una buona dosa di umiltà. Se della prima possiamo presumere l’esistenza con buona approssimazione, della seconda possiamo tranquillamente dubitare.

Luca Craia