È forse il
terremoto più brutto della storia moderna. Lo è per le purtroppo tante
vittime, per gli ingentissimi danni, per le enormi sofferenze a cui gli
scampati sono ora soggetti. Lo è perché capita nel momento storico più buio
della nostra storia, un momento in cui non c’è un governo che faccia davvero
gli interessi nazionali, in cui c’è una crisi economica senza precedenti, in
cui la società stessa si sta sfilacciando, in cui la percezione della realtà e
manipolata come non mai.
A farne le
spese sono tutti i terremotati che, dal primo movimento tellurico, avvenuto
ormai due mesi e mezzo fa, ancora non hanno visto un provvedimento, solo uno,
che li faccia sperare in qualcosa. Ci sono ancora le tende che volano via col
vento, i pantani di fango, le mense comuni. I nostri tesori d’arte sono
lasciati alle intemperie, non fosse per i volontari, con un MIBACT
assolutamente assente e un Franceschini latitante. Siamo ancora in piena
emergenza dopo un tempo enorme dalla prima emergenza, un tempo in cui si
sarebbe dovuto iniziare a ristabilire una certa normalità.
Le Marche
stanno messe peggio rispetto al Lazio martoriato. Le stanno già dimenticando,
non se ne parla quasi più e questo è un bruttissimo segnale. Spariti dai
telegiornali Castel Sant’Angelo, Ussita, Visso. Figuriamoci i centri che hanno
subito relativamente meno danni. Non ci sono state vittime nelle Marche nel sisma più recente, grazie
a Dio. Ma abbiamo perso paesi interi, tesori inestimabili. La nostra fascia
montana e pedemontana, e per pedemontana, per la nostra geografia, significa a
venti chilometri dal mare, non ha più parte della propria economia, quella
legata al turismo culturale. E non si vede nulla all’orizzonte, a parte i
proclami incredibili e puerili del Presidente del Consiglio.
Andando di
questo passo non ci sarà alcuna ricostruzione. Del resto L’Aquila docet, la
città è ancora un fantasma e quella è L’Aquila, mica Ussita. La gente,
trapiantata sulla costa, se non ritorna in fretta sulle proprie terre le
perderà, attecchirà sul litorale, troverà qui sostentamento e non tornerà più
verso le proprie radici che moriranno. È necessario agire in fretta ma non pare
aria. Le Marche, oggi, vedono davanti a loro un destino segnato: la
desertificazione di un territorio bellissimo, tra i più belli d’Italia,
ricchissimo, potenzialmente una miniera d’oro che viene lasciata morire,
implodere sotto il peso non delle macerie ma dell’incapacità e della disonestà
di chi prende le decisioni e non le prende. È una tragedia immane, infinita, un
genocidio culturale portato avanti con televendite politiche che ci fanno
credere il contrario. E il bello è che ci crediamo.
Luca
Craia