Uso Facebook
da diversi anni e mi picco di capire qualcosa dei suoi meccanismi. Per esempio
so che, se apri un gruppo in cui si raccontano barzellette, tanto per
semplificare, in una settimana hai già qualche centinaio di iscritti. Così ho
voluto fare un esperimento e ho aperto un gruppo chiamato Montegranaro, la
piazza. L’ho aperto perché a Montegranaro, al contrario di tanti altri centri
della nostra zona, non esiste una vera e propria pagina social. Ci sono gruppi
che si chiamano social ma in cui si fa promozione quasi esclusiva per giornali
online e c’è L’Ape Ronza, che non è una pagina social perché ci posso scrivere
solo io anche se la funzione, in parte, la svolge in quanto raccoglie segnalazioni
e le pubblica in forma anonima.
È un’anomalia,
quella montegranarese, perché nei gruppi social la gente segnala, informa,
discute mettendoci la propria faccia e assumendosi la responsabilità diretta di
quello che pubblica e, non esistendo a Montegranaro tale possibilità, ho voluto
vedere cosa capitava a crearne uno da noi. Il risultato è stato che, in una
settimana, ci sono state 35 iscrizioni. Sono pochissime. È vero che non ho
iscritto nessuno ma ho solo invitato, tramite i miei canali, la gente a farlo
spontaneamente. Se avessi io iscritto i miei contatti il gruppo sarebbe ben più
nutrito, ma la cosa sarebbe stata falsata. Così ho semplicemente informato dell’esistenza
del gruppo e atteso le iscrizioni. Il risultato è stato esattamente quello che
mi aspettavo.
Eppure non
si può dire che non ci sia nulla da segnalare. Ricevo segnalazioni in quantità
e ogni giorno, ma la gente di Montegranaro preferisce che le pubblichi sul blog
e sulla pagina Facebook de L’Ape in
forma anonima piuttosto che farlo direttamente. La possibilità di farlo in un
gruppo pubblico non ha riscosso alcun successo. Come mai?
Io un’idea
ce l’avrei e, infatti, come dicevo prima, mi aspettavo questo risultato. Credo
che, prima di tutto, a Montegranaro non esista uno spirito comunitario. Questo
elimina lo stimolo a fare, quello stimolo che, per esempio, a Civitanova Marche
fa partecipare tantissimo alle discussioni della pagina social locale. A
Montegranaro, non sentendoci mai “paese” se non quando c’è da fare il tifo per
qualche impresa sportiva, non avendo un vero e proprio amore di campanile, la
gente non vede perché mettere il proprio impegno per la soluzione di un
problema. Se c’è qualcun altro che lo fa, facciamo fare a lui.
Poi c’è il
clima avvelenato di questi ultimi anni. A Montegranaro è pericoloso esporsi.
Chi ha un’attività teme ripercussioni e lo fa a ragione, visti diversi casi in cui
persone che si sono esposte hanno subito conseguenze professionali. Ma anche
chi non ha un’attività teme di incrinare i rapporti, di venire additato, di
finire nella lista dei cattivi. C’è un modo spettacolare per tenere questo
clima intimidatorio vivo, è fatto di piccole minacce, di attacchi verbali, di
minime ripercussioni sociali. È fatto di chiacchiere, di pressioni, di abilità
nel mettere le persone l’una contro l’altra. Di fronte a tutto questo il
cittadino preferisce non esporsi, e non gli si può dare torto.
Poi ci
saranno mille altri motivi per spiegare l’insuccesso o, meglio, il risultato
negativo del mio esperimento. Ci sarà il mio essere forse antipatico, ci sarà
la pigrizia, ci saranno le feste che hanno creato un clima disteso che qualcuno
non voleva guastare pubblicando foto di immondizia abbandonata o di buche per
le strade. Fatto sta che questo è il risultato. Ragioniamoci perché, secondo
me, c’è da ragionarci.
Luca
Craia