Ripubblico con piacere questo brano tratto da un
quaderno di Stella Franceschetti, che lei stessa mi ha donato autorizzandomi a
servirmene per questo blog, e questo passaggio, la storia di Enzo Bassi, cui è
intitolata la via sotto piazza Mazzini, dove era la sede di Radio Veregra e
dove tanto tempo ho passato da ragazzo, mi ha indotto, come era nell’intento
dell’autrice, a riflettere. La storia la conoscevo perché me la raccontò anni
fa mio nonno, che Enzo lo conosceva bene. Mio nonno, repubblicano integerrimo,
me la raccontò esattamente così, come l’ha riportata Stella dal racconto
preciso della sorella di Enzo, Ivana. L’ho pubblicata tempo fa su questo blog e
ora lo rifaccio perché, oggi più che mai, credo dovremmo conoscerla, specie le
giovani generazioni. Viviamo in un tempo in cui si cerca di mettere gli uomini
l’uno contro l’altro, in una guerra tra poveri che non avrà mai un vincitore,
tempi in cui l’odio è a uso del potere, tempi in cui si sta perdendo il senso
di appartenenza, di popolo, di Patria. Poiché la storia ha toccato in maniera
così drammatica la nostra città, e non possiamo dire che il racconto di Ivana
Bassi sia inventato, allora cerchiamo di farla conoscere questa pagina triste
della nostra città, perché i giovani traggano, per quanto possibile,
l’insegnamento che la storia può e deve dare. Non ho grandi speranze. Ma non
voglio arrendermi all’imbarbarimento della nostra civiltà.
Luca Craia
Nato il 4 ottobre 1922, nel maggio del 1942 era partito per Roma dove
aveva preso servizio presso la caserma Macao del III Genova Cavalleria Dragoni.
Trasferito in Piemonte a Cuneo e a Carù, fu mandato poi in Francia,
prima a Nizza e a Cape d’Antibes e infine a Mentone. Subito dopo l’armistizio,
con il commilitone e compaesano Graziano Medori, riuscì a raggiungere Milano.
Soccorsi entrambi e ospitati da una famiglia milanese che aveva perso un figlio
in guerra, furono aiutati a disfarsi della divisa, rivestiti con abiti civili e
fu regalata loro anche una bicicletta per affrontare, con un minimo di
sollievo, il lungo viaggio di ritorno. Purtroppo, però, dovendo passare per
strade secondarie, accidentate, tra campi e viottoli, la bicicletta si ruppe
quasi subito e dovettero proseguire a piedi. Arrivarono in paese dopo 35 giorni
di cammino, il 12 ottobre, festa di San Serafino, santo paesano, rischiando più
volte di essere presi.
Per prudenza, non conoscendo la situazione, si diressero nella casa di
Graziano Medori, che abitava in campagna.
Un fratello di Graziano, più tardi, riaccompagnò Enzo a casa sua, dove
finalmente, alle tre di notte, potè riabbracciare la madre, il padre e la
sorella Ivana.
Magro, coi capelli resi chiarissimi dalla lunga esposizione alle
intemperie la madre, quasi incredula, volle accertarsi che quello era proprio
il figlio, facendosi mostrare una piccola voglia che aveva all’interno di una
gamba.
Nonostante i continui manifesti che intimavano ai giovani di presentarsi
per l’arruolamento nell’esercito fascista repubblicano, Enzo rimase nascosto
per qualche mese in casa. Un giorno giunsero in paese alcune camionette piene
di repubblichini, alla ricerca di alcuni prigionieri inglesi fuggiti dal campo
di concentramento di Fermo e qualcuno avvertì il comandante che c’erano in
paese anche alcuni giovani nascosti per non arruolarsi. Enzo, Ninì Petrini e
Serafino Conti scapparono insieme verso la campagna, nella speranza di
raggiungere il fiume Ete, dove era più facile trovare nascondigli. Mentre
attraversavano di corsa un tratto di strada scoperta furono raggiunti da alcune
raffiche di mitra. Enzo Bassi fu colpito a morte, Ninì Petrini fu preso
prigioniero e solo Serafino Conti riuscì a sfuggire alla cattura.
Era il 14 marzo 1944.
Tutto il paese prese parte al funerale di Enzo e alla sua memoria la
cittadinanza dedicò una via.
da “La fine del tempo delle favole” di Stella Franceschetti –
collana I quaderni di Stelletta