La mattina, in macchina da soli,
si guarda la strada, si evita di farsi venire addosso dalle persone che ancora
credono di stare nel proprio letto e non hanno realizzato di essere già sulla
strada del lavoro, si ascolta musica, magari si raglia cercando di cantare a nostra
volta, si guarda il panorama, le luci, i colori del nuovo giorno e ci si
immagina un po’ come sarà. E poi si parla con se stessi e si pensa. Stamattina
pensavo a mia figlia che, prima di salutarmi per prendere la corriera che l’avrebbe
portata a scuola, mi ha chiesto che ora fosse. E io le ho risposto: le 6:52. E
lei ha capito che era in perfetto orario. Da lì mi è venuto netto e nitido il
ricordo di mia nonna, che alla richiesta dell’ora, rispondeva “le sei e tre
quarti”. E lo rispondeva sia che fossero le 6:45, che fossero le 6:42 o che
fossero le 6:47. Erano comunque le sei e tre quarti perché, un tempo, e poco
tempo fa, non contavamo i minuti, contavamo i quarti d’ora. Non eravamo, almeno
noi di provincia, pressati dal tempo. Non perché non ci fossero orari da
rispettare, ma perché avevamo tempo e lo usavamo con sapienza. Se avevi un
appuntamento partivi per tempo, e non dovevi contare i minuti per vedere se
arrivavi in anticipo o in ritardo: arrivavi in anticipo. Punto. E i ritardatari
arrivavano in ritardo. Punto. Se la corriera per andare a scuola partiva alle
7:00 uscivi di casa non alle 6:55 ma per tempo, semplicemente per tempo. Erano
le sei e tre quarti ed era ora di uscire di casa e andare a prendere la
corriera. E se, di queste sei e tre quarti, eri nella parte precedente, in quei
cinque minuti che anticipano la linea tra il prima e il dopo, saresti arrivato
in anticipo. Se eri in quelli successivi arrivavi appena in tempo, Ma arrivavi,
per tempo e senza angosce.
Luca Craia