Considero i social uno strumento
formidabile per divulgare informazioni e idee e per facilitare la condivisione
e il dibattito, imprescindibile per chiunque debba occuparsi di cose pubbliche.
Ma il limite dello strumento sta proprio nella sua virtualità che, troppo
spesso, viene intesa come protezione, schermo, maschera che rende intoccabili,
impunibili. Questo evidentemente elimina ogni inibizione e libera il lato
peggiore delle persone che, interpretando il mondo virtuale del social network
come una zona franca dove tutto è permesso, danno sfogo alle loro frustrazioni.
È un po’ il concetto del videogame, dove l’altro, anche se conosciuto come
reale, sullo schermo del computer diventa avatar di se stesso, essere
elettronico privo di corpo, anima e sentimenti. È una sorta di sindrome del
tasto di reset, del concetto da videogame secondo il quale, sbagliando, si può
sempre iniziare la partita da capo. Ecco quindi che possiamo anche calpestare e
far male all’altro nella certezza che, comunque, tutto si può recuperare con un
tasto.
Le frustrazioni, gli istinti
repressi si moltiplicano in questi tempi confusi di crisi non solo economica ma
anche e soprattutto di valori, di punti di riferimento. Nel contatto reale tra
le persone, però, prevale ancora il buon senso, il rispetto reciproco anche se
convenzionale. Nel mondo binario dello schermo di un computer, invece, la
violenza, anche se non può mai diventare fisica, diventa strumento di
comunicazione usuale. Ecco allora l’uso abituale del turpiloquio, l’insulto
gratuito, l’eterna propensione ad attaccare anche quando non necessario. Quello
che nella vita reale mai ci sentiremmo autorizzati a fare, con una tastiera in
mano diventa normalissimo. Cade quindi una delle prerogative più positive della
socializzazione elettronica, ossia la possibilità di dibattere liberamente
sulle idee, per lasciar spazio alla violenza delle parole che blocca ogni forma
di scambio intellettuale.
Purtroppo il fenomeno è dilagante
e credo ogni utilizzatore dei social network possa verificarlo personalmente:
ci sono individui, sempre più numerosi, che utilizzano la violenza verbale
scissa da ogni razionalità per accedere a discussioni anche accese ma sempre
incanalate sul tema specifico e improntate sul rispetto reciproco. I violenti
della tastiera non partecipano alla discussione, non perdono tempo a leggere
quanto già è stato scritto, si accontentano di cogliere il senso generale da un
titolo o da qualche parola letta frettolosamente, e entrano nel dibattito a
gamba tesa usando l’offesa, la parolaccia, l’insulto gratuito, tutto ciò quasi
sempre formulando pensieri ovvi e qualunquistici.
Le conseguenze sono serie: se da
un lato in questo modo la discussione muore, dall’altro il sistema si fa sempre
più tollerato e condiviso tanto da divenire modus operandi anche per chi
ricopre ruoli istituzionalmente avulsi a
questi toni. Così il politico cala il livello del proprio eloquio, il
giornalista abbassa la qualità del parlare e la gente comune, che pure vorrebbe
rimanere in canoni di discussioni rispettosi, o si adegua o batte in ritirata. È
un fenomeno in crescita che va arginato, magari col semplice strumento della
moderazione del dibattito: chi non rispetta la dignità dei partecipanti e l’intelligenza
del discorso vada bloccato ed espulso.
Luca Craia