Non è la prima volta che accade, anzi, e l'iniziativa parte quasi sempre dallo stesso gruppetto di persone che, normalmente, trovate a elogiare e incensare i nostri amministratori, in particolare il vicesindaco, su Facebook. Ma ieri si è superata una linea, il confine tra la discussione accesa, a volte eccessiva, è il fatto criminale. La faccio corta: un lettore del mio blog condivide un articolo de Lu Voccentò, pseudonimo con il quale scrive una persona che collabora con me ma preferisce che il suo nome non venga fatto. Così qualche povero di spirito ancora pensa che sia io stesso a scrivere sotto questo pseudonimo, come se qualche volta abbia avuto bisogno di non mettere la faccia in ciò che faccio o scrivo. Gli articoli in questione sono tutti firmati, mi arrivano via mail ed è facilmente dimostrabile che non sono io a scriverli.
Tant'è che, sotto questa condivisione, entrano in azione gli haters schierati con la maggioranza, quelli che prendono tutto come una partita di calcio o di basket. Va detto che il pezzo di cui stiamo parlando non era in alcun modo offensivo, solo piuttosto schietto, come di solito fa il mio collaboratore. Decido di intervenire e mi metto dialogare con uno dei due, facendogli capire, più che altro è con scarso successo, che l'articolo non è opera mia. Interviene un altro, solitamente piuttosto rude, e inizia a insultare. Non gli rispondo mai. Il risultato è quello che vedete nelle immagini del salvaschermo.
Non è la prima volta, dicevo, e non lo è nemmeno con questo soggetto che da tempo ormai non lesina commenti pesanti sul mio conto sia direttamente che indirettamente, quasi fossi diventato una sorta di ossessione. Però stavolta è andato ben oltre. Nel caos mentale con cui confonde la mia persona e quella del mio collaboratore spara a zero, insulta, pronuncia accuse infamanti riguardanti i miei familiari e arriva alla minaccia. Non credo che agirò legalmente, ritengo che non sia possibile fare politica (perché, nonostante tutto, faccio politica anche io) con le carte bollate. Ma, francamente, comincio a preoccuparmi. Perché di solito queste persone sono cani da pagliaio, abbaiano da lontano. Ma non posso certo avere la certezza che non gli venga in mente di mordere.
Luca Craia
Tant'è che, sotto questa condivisione, entrano in azione gli haters schierati con la maggioranza, quelli che prendono tutto come una partita di calcio o di basket. Va detto che il pezzo di cui stiamo parlando non era in alcun modo offensivo, solo piuttosto schietto, come di solito fa il mio collaboratore. Decido di intervenire e mi metto dialogare con uno dei due, facendogli capire, più che altro è con scarso successo, che l'articolo non è opera mia. Interviene un altro, solitamente piuttosto rude, e inizia a insultare. Non gli rispondo mai. Il risultato è quello che vedete nelle immagini del salvaschermo.
Non è la prima volta, dicevo, e non lo è nemmeno con questo soggetto che da tempo ormai non lesina commenti pesanti sul mio conto sia direttamente che indirettamente, quasi fossi diventato una sorta di ossessione. Però stavolta è andato ben oltre. Nel caos mentale con cui confonde la mia persona e quella del mio collaboratore spara a zero, insulta, pronuncia accuse infamanti riguardanti i miei familiari e arriva alla minaccia. Non credo che agirò legalmente, ritengo che non sia possibile fare politica (perché, nonostante tutto, faccio politica anche io) con le carte bollate. Ma, francamente, comincio a preoccuparmi. Perché di solito queste persone sono cani da pagliaio, abbaiano da lontano. Ma non posso certo avere la certezza che non gli venga in mente di mordere.
Luca Craia