Uno
straniero, in terra straniera, è straniero. Lo è oggettivamente, senza tirare
in ballo la solita retorica dell’accettazione dell’altro, della xenofobia e
della gara a chi è più cattivo. Uno straniero in terra straniera è straniero e,
per quanto la terra in cui è giunto possa essere aperta all’accoglimento dello
straniero, se questi non fa uno sforzo per adeguarsi e rendersi ben accetto,
non verrà accettato completamente. Non esiste integrazione se chi deve
integrarsi non vuole farlo, non è interessato a farlo, non si sforza di farlo e
compie gesti che vanno in tutt’altra direzione, irrita il Paese ospite e i suoi
cittadini, crea disagio e preoccupazione.
Per vivere
in Italia, nella fattispecie a Montegranaro, e cercare di diventare parte del
tessuto sociale italiano non ci si può permettere di entrare in un palazzo e
staccare la corrente, così, tanto per fare un dispetto. Non ci si può
permettere di aggirarsi furtivamente tra le auto mettendone in allarme i
proprietari, non ci si può permettere di coltivare marijuana in casa, non ci si
può permettere di sporcare, degradare, rendere invivibile un intero quartiere,
non ci si può permettere di commettere atti di bullismo, di rendere zone del
paese off-limits perché pericolose, perché si rischia l’aggressione.
A compiere
questi atti, a tenere certi comportamenti, sono in genere piccole minoranze di
stranieri che, però, col loro comportamento creano un enorme danno a tutta la
comunità straniera. Questo avviene perché la gente, intesa come massa, non ha
la capacità di distinguere e generalizza, e questo, purtroppo, per quanto ci
paia negativo, è normale. Non parliamo propriamente di xenofobia ma di un
meccanismo di autodifesa che la società applica in una sorta di automatismo.
Quando avvengono questi atti, la società si sente minacciata e reagisce
emarginando il potenziale pericolo. E a essere emarginati sono anche quelli che
si comportano bene, pagando il fio per il comportamento di altri, stranieri
come loro.
Ecco perché i
primi a vigilare su queste cose e a essere inflessibili devono essere gli
stessi membri delle comunità straniere, magrebine, cinesi, dell’est-Europa.
Devono essere loro i primi a riconoscere il problema e a cercarne le soluzioni
e non nascondere, coprire, giustificare. Solo emarginando chi assume
comportamenti contrari all’integrazione questa potrà avvenire. Perché chi non
vuole integrarsi, chi non rispetta le regole e il Paese in cui è venuto a
cercare di costruire una vita, non merita e non può restare. E questo devono
essere gli stranieri stessi a stabilirlo come principio fondamentale della
convivenza.
Luca
Craia