mercoledì 21 dicembre 2016

Botti vietati a Montegranaro. Ordinanza di civiltà.



Per una volta voglio ringraziare ed elogiare il Sindaco di Montegranaro, Ediana Mancini. Lo faccio senza la solita ironia, seriamente e sinceramente, perché questa volta ha davvero compiuto un atto da Sindaco di un paese civile. Ediana Mancini ha finalmente raccolto l’appello dei tanti possessori di animali domestici, di molti cittadini con sviluppato senso di civiltà, ma ha anche compiuto ella stessa un gesto di civiltà promulgando un’ordinanza, valida per il 31 dicembre e il 1 gennaio, di divieto “di far esplodere fuochi d’artificio, petardi, “botti” di qualsiasi tipo su tutto il territorio comunale”.
Erano anni che diversi cittadini chiedevano questo provvedimento e finalmente quest’anno questa richiesta è stata accolta. È anche vietato vendere o regalare materiale esplodente a minori di diciotto anni, così come il divieto di sparare i famigerati botti è esteso alle aree private. Ci sono sanzioni che possono anche essere pesanti, perché si va da 25 a 500 Euro. Il problema sarà far rispettare l’ordinanza, vista la cronica mancanza di personale del nostro corpo di Polizia Municipale e anche perché, a mezzanotte dell’ultimo dell’anno, faccio fatica a immaginare i vigili in giro per il paese a fare multe.
Fa quindi bene, il Sindaco, ad appellarsi al senso di civiltà dei Montegranaresi, sperando che venga accolto e che gli incivili siano pochi. I botti non sono soltanto fastidiosi, non creano soltanto problemi anche gravi alla salute degli animali domestici e da compagnia, ma sono anche pericolosi. Ogni anno i feriti, e talvolta anche i morti, dovuti a questa usanza incivile sono numerosi e questo divieto va nella direzione della tutela del cittadino, anche se questo può essere impopolare. Per cui, per questa volta, brava Sindaco.

Luca Craia

martedì 20 dicembre 2016

Nuovo ingegnere? Perugini si alza e se ne va



Potrebbe avere mille buoni motivi, l’assessore ai lavori pubblici e all’urbanistica Aronne Perugini, per non partecipare al voto di una delibera di giunta. Potrebbe aver avuto un bisogno di alzarsi urgente, potrebbe avere avuto una chiamata a cui rispondere, potrebbe essersi ricordato di un impegno. Ma, essendo il voto di cui parliamo strettamente attinente al suo ufficio, pare strano che si sia alzato e se ne sia andato, come si evince dalla delibera in questione in cui il Segretario Generale verbalizza: “l’assessore Aronne Perugini si allontana dalla sala della riunione e non partecipa all’esame ed approvazione delle proposta”.
Si trattava dell’assunzione, tramite mobilità tra enti, di un ingegnere a rinforzare l’organico dell’Ufficio Tecnico Comunale. Perugini dovrebbe essere interessato, l’ufficio tecnico fa capo al suo assessorato prima di ogni altro. Perché mai avrà deciso di non partecipare al voto? Non lo so e non ho modo di chiederglielo, ma credo che, per la famosa trasparenza tanto invocata e inflazionata ma mai vista (forse proprio perché trasparente) una spiegazione ai cittadini andrebbe data.

Luca Craia

Terremoto - La desertificazione della zona montana come stretegia politica.



Sembra ci sia un disegno preciso dietro la strategia adottata dal Governo (non distinguo tra quello di Renzi e quello di Gentiloni in quanto credo non ci sia nulla da distinguere) per gestire il post-terremoto nell’area montana. Può sembrare approssimazione, inettitudine ma, a guardar bene, forse c’è dell’altro. Le aree montane sono costose per lo Stato, molto. Un’area montana scarsamente popolata costa decisamente meno di una popolata densamente. Poi c’è la questione del Parco, i cui amministratori hanno sempre visto con poca indulgenza la presenza di insediamenti produttivi all’interno del territorio controllato dall’Ente. Infine ci sono i costi di ricostruzione, per i quali la matematica è semplice: meno gente che torna, meno case da ricostruire.
Ecco allora la strategia: portare la popolazione lontano e ritardare il più possibile ogni intervento diretto al ritorno della normalità. Le aziende non vengono aiutate a ripartire, non vengono allestiti siti alternativi per i servizi pubblici come scuole e ospedali, non si dà modo alla popolazione di rimanere, seppure in moduli abitativi provvisori.
Tutto questo tiene lontana dal luogo colpito dal sisma la gran parte della popolazione attiva, creando un danno enorme al tessuto sociale, danno che, più si va avanti nel tempo, più diventa insanabile. È difficile pensare a un ritorno alla situazione precedente al terremoto per tanti piccoli centri, come Castelluccio o Ussita. Qualche probabilità in più ce l’hanno i Comuni che possiedono aziende manifatturiere, sempre che queste riescano a riprendere la produzione in loco. Pare comunque molto probabile che non si tornerà mai più alla situazione originale.
Nel frattempo assistiamo all’immobilismo quasi totale, o a interventi inutili e poco razionali. L’uso della forza lavoro pubblica per realizzare strutture che potrebbero benissimo essere messe in opera da aziende private locali è illogico. Dare incarico alle imprese locali farebbe ottenere il duplice vantaggio di liberare le forze pubbliche impiegandole in lavori più consoni, come l’urgente riapertura delle strade, in gran parte ancora impercorribili, e di dare spinta all’economia congelata dal terremoto. Sarebbe poi indispensabile la rapida riapertura dei centri di servizio, come le scuole e gli ospedali. E poi le unità produttive vanno fatte ripartire subito.
La favola degli imprenditori mecenati che vanno ad aprire aziende ex novo nelle zone terremotate è poco credibile. Aprire un’azienda in un periodo di crisi internazionale non ha senso, a meno che non si trasferisca un’unità produttiva da un luogo all’altro. Solo che, in questo modo, si tapperebbe una falla creandone una nuova, occupando mano d’opera in un luogo e disoccupandone altra nel luogo di origine. Assurdo. Diverso il caso di Diego Della Valle, il cui marchio è in controtendenza rispetto al mercato. Ma anche qui c’è un ragionamento incongruo: per aprire un laboratorio calzaturiero con manodopera non del settore serve tempo. E questo tempo non c’è.
Da qui tutta la mia preoccupazione per il futuro delle zone colpite dal sisma. La politica che si sta attuando e la solita politica dei proclami, delle telecamere e dei riflettori. È vero che non ci sono le mostruose “new town” di Berlusconi ma è anche vero che, in sostanza, c’è l’immobilismo più completo. E i riflettori, quelli veri, quelli che tengono accesa l’attenzione dell’opinione pubblica, si stanno gradualmente spegnendo. Il rischio è che cali presto l’oblio e che i problemi non vengano più risolti, creando un’enorme zona deserta nel cuore del centro Italia.

Luca Craia