mercoledì 28 dicembre 2016

Il freddo di Natale nel paese dimenticato



Il centro storico di Montegranaro è un luogo triste. Lo è da tempo, dopo essere stato un posto dove vivere bellissimo, pieno di vita e vitalità, tanta brava gente, solidarietà, amicizia, spirito di comunità. Da diversi anni non è più così: il castello del paese si è spopolato e, piano piano, è stato dimenticato dai suoi ex abitanti che oggi vivono in zone più comode ma certamente non più calde e accoglienti.
È diventato un posto triste, dove echeggiano lontane le grida dei bambini di un tempo, bambini che calciavano palloni sgonfi tra i vicoli ombrosi o rincorrevano l’Ape Piaggio dello “sformatore” che veniva a consegnare ai vari piccolissimi laboratori calzaturieri artigiani. Non ci sono più i profumi della vita, del sugo buono, della carne alla brace cotta nel caminetto, gli odori pieni di promesse dei tanti piccoli negozi di alimentari, o il profumo di pulito che veniva dalle porte lasciate aperte, nel gesto naturalmente accogliente di attendere il vicino senza che questi dovesse bussare o suonare campanelli, attirato dal profumo del caffè. Mancano le voci delle donne che chiacchierano nel più antico social network della storia, degli uomini che discutono di sport o di lavoro.
Ora ci sono gli odori di marcio provenienti dalle cantine chiuse e abbandonate, ora c’è il suono assordante del silenzio, il buio di lampioni rotti e mai più riparati e il rumore di una macchina che ogni tanto passa. C’è ancora vita nel centro storico, ma è una vita appoggiata, di passaggio, una vita in una casa che non senti più tua. C’è gente che si incontra e non si parla anche perché è difficile capirsi, c’è lo sguardo diffidente del vicino e la sua porta chiusa a chiave, col campanello e la telecamera per vedere chi è.
E poi è arrivato questo ultimo Natale, un Natale buio, fatto di oscurità aggravate dall’insipienza, dalle vibrazioni vicine della terra che trema che hanno tolto anche l’ultimo momento di comunità tra le mura del paese antico, quel presepe vivente che quest’anno si è fatto altrove, piccolo, diverso. Un Natale senza chiese, senza festa, senza gente che viene a messa e a prendersi un punch al mandarino. Un paese scuro, pieno di fantasmi, dove i ricordi, da dolci e malinconici diventano dolorosi, dove la nostalgia lascia posto alla rabbia di chi ha amato quel posto e lo vede trattato così, come un luna park abbandonato, tra i cigolii delle giostre arrugginite e lo squittio di un topo grasso e felice.
Questo era il centro storico di Montegranaro il giorno di Santo Stefano, passando per corso Matteotti con le luci rosse e piazza Mazzini con le luci che non c’erano, con lampadari di finto cristallo, a testimoniare il nostro povero destino, a pendere sinistri come in una danza macabra in un castello abbandonato persino dagli spettri, davanti alle porte delle chiese chiuse, dei palazzi chiusi, in mezzo a un silenzio che rompeva i timpani.

Luca Craia

Le vittime del terremoto sono tutte uguali. I danni dell’informazione.




Le vittime del terremoto sono tutte uguali, non ci sono vittime di serie A o di serie B. Quello che sta accadendo in questi ultimi tempi, una volta spenti i clamori dell’immediato sgomento dovuto al sisma che ha colpito il centro Italia, è scandaloso ed è dovuto al comportamento degli organi di informazione che seguono l’effetto emotivo piuttosto che svolgere correttamente la loro funzione. Oggi sembra che il terremoto ci sia stato soltanto ad Amatrice e Norcia. Non si parla più di Arquata, Pescara del Tronto, non si parla di Ussita, Visso, Castel Sant’Angelo, Pieve Torina. Si segue l’effetto, l’impatto sugli ascolti. Parlare di Norcia, bellissima e massacrata ma, soprattutto, più famosa di Visso, fa un altro effetto sul pubblico.
Se ne lamentano gli abitanti delle città “minori”, e si innesca quella specie di effetto concorrenza che, invece, è triste e deleterio. Non è colpa di Norcia o di Amatrice se i telegiornali parlano solo di loro. Le vittime sono tutte uguali, hanno la stessa dignità. Ma soprattutto il danni hanno tutti lo stesso valore.
Così, con questa campagna mediatica sbagliata e irresponsabile, si innescano meccanismi iniqui. La solidarietà, per esempio: se si parla solo di Amatrice, questa avrà dei vantaggi nell’attribuzione delle tante raccolte fondi che i generosi Italiani stanno portando avanti. L’informazione è importante e deve essere corretta.
Così come è importante che si faccia chiarezza sui danni e sui rischi, in modo che non si crei allarmismo ingiustificato frenando una risorsa fondamentale per le zone colpite e quelle immediatamente a ridosso: il turismo. C’è un calo verticale nelle visite alle città umbre e marchigiane vicine all’epicentro ma che non hanno riportato danni pesanti. Queste città vivono di turismo ed è importante che l’informazione le sostenga e non le affossi.
I media hanno una grande responsabilità in questo momento. Occorre che se la assumano e lavorino correttamente. Il centro Italia, per risorgere, ha bisogno di equità, ha bisogno di unità, ha bisogno di essere sostenuto e il ruolo dei mezzi di informazione è fondamentale.

Luca Craia