Chi lavora o è titolare di uno studio tecnico non dovrebbe fare politica, almeno a livello locale. Questo semplicemente e lapalissianamente perché sarebbe in perenne conflitto d’interessi potenziale. Prendiamo, per fare un esempio ipotetico, un ingegnere che faccia anche l’assessore e che debba tutelare gli interessi di un suo cliente che ha un contenzioso con un altro privato che abbia aderito a qualche tipo di campagna pubblica (ce ne sono tante, dalle case a 1 Euro per rivalutare i centri storici alle varie agevolazioni che le amministrazioni comunali mettono in campo per risolvere problemi urbanistici e sociali). In quel caso, il Comune dovrebbe cercare di mediare tra i privati per risolvere il contenzioso nell’interesse di tutti. Invece, dovendo anche tutelare l’interesse del suo cliente, il tecnico in questo caso si troverebbe in grave imbarazzo, con un evidente conflitto tra l’interesse pubblico e quello professionale.
Un tecnico ha libero accesso agli uffici, alle carte, agli atti. È evidente che il tecnico che faccia politica e che sia in maggioranza abbia un vantaggio rispetto al tecnico che politica non la faccia o che non sia in maggioranza. E anche se il tecnico sia così corretto da non usufruire del suo vantaggio, rimarrebbe sempre un legittimo e inopportuno sospetto. Per questo, e per molti altri motivi, ritengo che i titolari e i dipendenti di studi tecnici dovrebbero evitare di fare politica, per evidenti ragioni di opportunità. Vedremo, alle prossime elezioni, quanti tecnici saranno in lista. Di solito ce ne sono tanti.
Luca Craia