Quando don Peppe Trastulli giunse a
Montegranaro, nel lontano 1975, ero piccolo. Mi ricordo appena don Guido, il
suo predecessore, e l’altro don Peppe che era cappellano e poi partì per il
Brasile. Per questo motivo per me don Peppe è “il pievano” per eccellenza, “lo
pioà”, e credo che per tutti a Montegranaro sia lecito considerarlo l’ultimo
dei pievani, ossia dei parroci della Pievania, la parrocchia del SS.Salvatore
che poi sarebbe quella del paese, quella centrale, in qualche modo la
principale. C’è stato a lungo, don Peppe, a Montegranaro, tanto a lungo da
segnare l’esistenza di tante persone e di tantissimi giovani di allora.
Don Peppe era lungo lungo e secco
secco, tanto che noi bambini, con quella sagacia un po’ cattiva nella sua
innocenza che hanno sono i bambini, lo chiamavamo di nascosto “Liquirizia”,
visto che oltretutto vestiva di nero. Lo ricordo bene, è impossibile non
ricordarselo per chi lo ha conosciuto. Don Peppe era un uomo amabile ma fermo,
un uomo intelligente e spiritoso, un uomo colto ma capace di stare con chiunque,
era un sant’uomo ma poteva essere molto terreno, era l’amico di tutti ma manteneva
quell’autorevolezza che il buon pastore dovrebbe avere; insomma, era il parroco
perfetto per Montegranaro.
E infatti, nei vent’anni in cui è
stato il pastore dei Montegranaresi, ha lasciato segni indelebili, molti ancora
visibili, altri comunque tangibile nella trasformazione della comunità. Don Peppe
portò in chiesa, anzi, riportò in chiesa tantissimi fedeli, moltissimi giovani
ai quali diede l’oratorio, il cinema, tantissime opportunità di aggregazione e
catechesi. Con lui fiorirono i gruppi e le associazioni ma nessuna prese mai il
sopravvento, trattate tutte con la stessa equanimità. Equanimità che distribuiva
in paese, comunicando e facendosi apprezzare anche da chi in chiesa non ci
andava e non co sarebbe mai andato.
Lo cambiò, il paese, e molto. Ridiede
dignità alla chiesa di San Francesco, ormai ridotta a quattro muri bianchi
sporchi di umidità e fumo di candela. La ristrutturò e la riempì di opere d’arte
che andò a cercarsi personalmente nelle chiesette di montagna, opere abbandonate
che praticamente salvò, fece restaurare, e collocò lungo la navata spoglia
della chiesa principale. Ristrutturò e riaprì l’oratorio di San Giovanni
Battista, dando alla comunità un luogo per incontri e dibattiti di alto
livello. Restaurò la chiesa di San Pietro Apostolo e la sua canonica, ex
monastero, per farne locali da adibire alle attività di catechesi. Riaprì il
cinema La Perla quando l’ultima gestione lo abbandonò lasciando un paese in
piena crescita senza cinema e teatro. In tutto questo e in molto altro coinvolse
costantemente la gente di Montegranaro, facendola riappropriare del suo
patrimonio, delle sue cose, della sua vita sociale.
Furono vent’anni di attività
costante, di vita parrocchiale intensa, vent’anni di provvidenza per
Montegranaro. Ma ogni cosa finisce, e don Peppe, nel 1984, andò a dedicare i
suoi talenti ad altre cose, come è giusto che sia. Lo fece con dolore, perché Montegranaro
era davvero casa sua, ma lo fece con l’obbedienza del servo di Dio. Don Peppe
lasciò questa terra dieci anni dopo, improvvisamente, in un incidente. A Montegranaro
fu un evento sconvolgente, come se fosse don Peppe non fosse mai partito. E in
realtà non è mai partito: ancora oggi portiamo i segni benedetti del suo
passaggio, vediamo le cose che ha fatto e portiamo dentro quelle che ci ha
insegnato.
Lo ricorderemo domenica prossima, il
18 febbraio, vigilia del ventesimo anniversario della sua prematura partenza da
questo mondo, nella Santa Messa delle 11,30 nella sua San Francesco. Lo ricorderemo,
pregheremo con lui e insieme a lui.
Luca Craia