martedì 15 novembre 2016

Guidare nella nebbia senza segnaletica orizzontale



Avete mai avuto la sventura di guidare nella nebbia su una strada senza segnaletica orizzontale? Se sì sapete quanto è brutto, difficile e pericoloso. Peggio se, su quella strada, hanno appena rifatto l’asfalto: il nero del catrame si fonde con quello atmosferico e non si distingue più dove finisce la strada e comincia la scarpata.
Questo è quello che capita sulla strada provinciale 219, meglio nota come Mezzina. La Provincia di Fermo, dopo aver rattoppato alla bell’e meglio la strada più pericolosa di tutto il suo territorio e dopo essersene, non senza una certa faccia tosta, vantata su tutti i giornali, si è dimenticata di rifare la segnaletica orizzontale. Non c’è la linea di mezzeria, non ci sono le linee laterali. Con la nebbia, di notte, si va davvero a indovinare dove sta la strada, anche per chi è abituato a farla, figuriamoci per qualcuno che la percorra per la prima volta.
Eppure il Presidente, per quanto a fine mandato, ancora percorre spesso quella strada per recarsi nel suo ufficio a Fermo partendo da Montegranaro. Possibile che non gli sia mai capitata la nebbia, magari di notte? Forse no. O forse è un pilota talmente abile da non avere questo tipo di problema. O forse, come per altre cose, fa finta che il problema non ci sia. Tanto tra poco toccherà a qualcun altro.

Luca Craia

I corsi O.S.S. e il nuovo schiavismo



Ci sono innumerevoli esempi di come, con i nuovi contratti di lavoro, che ormai tanto nuovi non lo sono più, si sia introdotta una nuova forma di sostanziale schiavismo imperniata sulla precarietà e sulla conseguente sudditanza del lavoratore nei confronti del datore di lavoro o del diretto superiore. Pensiamo ai call center, spesso portati a esempio per questa problematica, ma anche a rapporti di lavoro diversi, come i commessi dei centri commerciali o alcune categorie di operai manifatturieri. In realtà sono moltissimi i casi in cui, adoperando ad arte questi contratti fortemente sbilanciati a danno del lavoratore, si riesce a produrre l’effetto di schiavizzare quest’ultimo ed è stupefacente l’inerzia del mondo sindacale a proposito.
Vorrei parlare, ora, di una tipologia di lavoratore nata da pochi anni e che soffre particolarmente di questa situazione ma che, oltretutto, vede anche un esborso notevole da parte del lavoratore solo per poter praticare la professione. Mi riferisco alla figura dell’operatore socio-sanitario, meglio nota con l’acronimo O.S.S.. Per poter lavorare presso strutture pubbliche o private, l’aspirante OSS deve propedeuticamente seguire un corso di preparazione. Tali corsi una volta erano organizzati dalla Regione ed erano gratuiti ma oggi occorre rivolgersi a strutture private che li organizzano dietro autorizzazione della Regione,  e il costo del corso varia dai 1500 ai 4000 Euro. Una volta superato l’esame di abilitazione parte la trafila per trovare lavoro.
Eccetto rare eccezioni, lavoro non si trova o, meglio, si trova accettando condizioni di lavoro fuori da ogni norma. Lavorando nel settore socio-sanitario ci si aspetterebbe il massimo rispetto per le normative, a tutela del paziente e dell’operatore. Sul campo, invece, si trovano strutture in cui mancano persino gli elementi base della sicurezza sul lavoro: si sollevano i pazienti senza sollevatori, mancano le attrezzature, addirittura in alcuni casi mancano i presidi basilari come il materiale per l’igiene personale del paziente. Tutto questo danneggia il paziente e lo stesso operatore che si trova costretto a lavorare in condizioni inadeguate, spesso pericolose per la propria salute e col rischio di creare danno, appunto, al paziente avendone però la responsabilità civile e penale.
Perché, in realtà, l’operatore che si trovasse a lavorare in assenza dei requisiti di sicurezza per se stesso e per il paziente dovrebbe rifiutarsi e avvertire le autorità. Ma l’Oss non lo può fare. Il contratto di assunzione per l’Oss appena uscito da un corso è quasi sempre un contratto a tempo determinato, talvolta anche di categoria inferiore. L’Oss può rimanere senza lavoro da un momento all’altro e, per lo stesso motivo, molto spesso è sottoposto a turni fuori legge e a dover eseguire mansioni dequalificanti.
La questione è che, nel mondo socio-sanitario regionale, i posti di lavoro disponibili sono un numero pressochè chiuso e questo numero è ben noto a chi autorizza i corsi. Eppure, nonostante esista già un forte esubero di operatori sul mercato, ogni anno vengono autorizzati nuovi corsi, ben sapendo che i nuovi operatori formati non avranno spazio sul mercato. L’immissione continua di nuovi lavoratori in un mercato già saturo provoca una forte concorrenza tra gli stessi, costretti in questo modo ad accettare condizioni di lavoro altrimenti inaccettabili pur di conservare il posto. Tutto questo dopo aver pagato a dei privati cifre anche piuttosto cospicue, aver svolto mesi di tirocinio gratuito presso strutture private che utilizzano il tirocinante come bassa manovalanza gratuita, e con la santa benedizione della Regione che autorizza sempre nuovi corsi senza analizzare la situazione del mercato che, invece, consiglierebbe la sospensione della formazione di nuovi operatori, e del mondo sindacale che non interviene. In tutto questo chi ci guadagna? Si fa presto a vedere che quasi tutti gli attori della vicenda hanno dei vantaggi, eccetto il lavoratore che, nel miraggio di poter vincere un concorso pubblico e cambiare vita, nel frattempo vive da schiavo per pochi spiccioli.

Luca Craia

Come è messa San Serafino?



La chiesa di San Serafino, forse la più amata dai Montegranaresi, è una struttura delicata, fragile, che ha già subito il crollo del tetto solo qualche anno fa. Il terremoto del 2 agosto aveva già aperto numerose crepe ed espressi già allora, sia qui che direttamente al Parroco, le mie perplessità sulla decisione di mantenere aperta la chiesa, perplessità che sono, ovviamente, rimaste solo mie, finchè domenica 30 ottobre sono caduti dei calcinacci quasi in testa ai fedeli, causando così, finalmente, la decisione da parte del Sindaco di chiudere la chiesa. Va infatti ricordato che il tempio, per quanto officiato, è di proprietà del Comune di Montegranaro sul quale ricadono le responsabilità.
Il problema di San Serafino è piuttosto antico e non è mai stato completamente risolto, nemmeno dopo la riapertura del 2004 a seguito del crollo della capriata. Infatti, a tutt’oggi, dietro l’altare maggiore l’antica sacrestia è ancora completamente puntellata. È logico pensare che le ripetute scosse di terremoto non abbiano giovato alla struttura già non perfettamente sana, ed è un bene che, con l’ordinanza numero 187 del 12/11/16, il Sindaco abbia deciso di mantenerne la chiusura ai fedeli. Il punto, però, è che ancora non sembra si stia prendendo alcun provvedimento per verificare in concreto se ci sono danni strutturali e quali essi siano.
Credo che la chiesa dovrebbe essere oggetto di una verifica urgente per poi prendere immediati provvedimenti. Non si può certo rischiare che avvengano altri crolli e non si può nemmeno riaprirla al culto con leggerezza, visto quanto il tempio è frequentato anche prescindendo dalle celebrazioni eucaristiche. San Serafino è un bene culturale primario per Montegranaro, oltre a essere un luogo di culto oggetto di grande devozione. All’interno sono custodite preziose tele di Filippo e Alessandro Ricci, i tipici altari lignei cappuccini sono tra i più belli e preziosi d’Italia e al loro interno è riposto un tesoro di reliquiari antichi. San Serafino merita, quindi, il massimo rispetto sia da un punto di vista religioso che culturale e credo che la cittadinanza intera di Montegranaro non tollererebbe danneggiamenti dovuti a decisioni affrettate o a mancate decisioni. Il tempo che passa, in questi casi, non aiuta.

Luca Craia