mercoledì 5 aprile 2017

Quando a Montegranaro non scoppiò la guerra per un pelo



Non so se ricordate com’erano i giardini al Campo dei Tigli una trentina e passa di anni fa. Dietro la chiesa di San Serafino c’era la strada che scendeva fino a via Umbria, costeggiando il campetto di basket e l’asilo. A metà della strada c’era un’altra stradina, sulla sinistra, che girava a gomito e scendeva, sempre verso via Umbria, ma dal lato opposto, per arrivare fino a via Lazio. Questa stradina tagliava a metà il giardino, creando due spazi simmetrici. Quello verso monte era normalmente frequentato da mamme con bambini, in quello verso valle, esattamente di fronte al campo di pallacanestro, più ombrose e appartato, da giovani, coppiette pomicianti e fumatori di spinelli. In questo scenario si muoveva, d’estate, la gioventù montegranarese, quanto meno nelle ore più calde, in attesa che scendesse il sole e si potesse andare dietro le mura, luogo ambito nelle fresche ore serali ma proibitivo di pomeriggio per l’impietoso irraggiamento del sole che lo rendeva rovente e invivibile.
A quei tempi io, Uliano e Mauro eravamo apostoli dell’hard rock, fedelissimi al culto del metal e acerrimi nemici dei discotecari e, soprattutto, dei punk. Il nostro vestiario e le chiome fluenti ci identificavano senza dubbio, tra pantaloni attillatissimi, cinture borchiate e magliette di Iron Maiden o Judas Priest. Capitò che un giorno – eravamo tutti e tre con l’aggiunta dell’amico Giovanni che, però, metallaro non è mai stato – passando tra il Campo dei Tigli e il giardinetto dei giovani, ci giunse da sopra una voce che diceva più o meno così: “brutti punk di merda”. Per un metallaro sentirsi dare del punk è offesa da lavare col sangue. Ci fermammo e, quasi in coro, gridammo: fatti vedere, vigliacco. E questo, senza farsi vedere, continuò: “brutti punk rock zozzi”. Fu Giovanni, il più pacato e ragionevole di noi quattro, a riportarci alla calma. Ce ne andammo senza cedere alla provocazione, ma lanciammo una sfida: “se hai coraggio, ci trovi da Tarcì”.
Tarcisio aveva una sala giochi in via Umbria, dove adesso c’è la sua gelateria. Andavamo spesso lì a giocare, ci piaceva particolarmente il flipper. Fatto sta che, mentre stavo giocandomi una pallina stratosferica abbattendo ogni record del malefico pinball, qualcuno mi toccò la spalla, facendomi perdere concentrazione e pallina, dicendo: ce l’ho io coraggio, eccomi. Mi voltai e trovai un tipo mezzo rasta, alto una ventina di centimetri meno di me ma piuttosto ben piazzato, uno che ostentava sicurezze e che, seppi in seguito, nonostante la statura non proprio da giocatore di basket, era un discreto picchiatore. Il tipo mi fa: “andiamo di fuori e sistemiamo la cosa”. E io risposi: “di fuori c’è tutta la tua combriccola o siamo solo io e te?”. E Lui: “c’è tutta la banda”. “Bel coraggio che hai. Se hai voglia di vedertela con me dobbiamo solo essere io e te. Oppure mi devi far radunare la mia, di banda”. E chi ce l’aveva una banda? Capirai, l’unica banda che avevamo era la nostra band per suonare, ma non era quello che occorreva in quel caso. Allora questo cavallerescamente mi fa: “raduna la tua banda e ci vediamo al Campo dei Tigli tra una settimana. E chi si fa male va all’ospedale”. Si girò e se ne andò.
“Ma che si combinato?” Uliano era preoccupato. Mauro era ammutolito. Giovanni, il saggio: “ma che banda c’emo noatri?”. “Eh, bisogna che ce ne procuremo una”. Era in ballo il nostro onore e dovevamo difenderlo. Così ci venne in mente di chiamare in nostro aiuto l’amico Paolo di Civitanova. Paolo era anche lui un piccoletto, ma era un fascio di muscoli ed era un leggendario picchiatore. Lui ce l’aveva, una specie di banda, un gruppo di metallari civitanovesi che incutevano terrore solo a vederli. Andammo a casa di Uliano e gli telefonammo (non c’erano i telefonini, figuriamoci le chat) e Paolo si disse entusiasta di questa potenziale scazzottata imprevista. Avrebbe organizzato un bel gruppo di Civitanovesi nerboruti e avremmo dato una sonora lezioni a questi profanatori del metal.
Passavano i giorni e noi quattro eravamo sempre più preoccupati, anche perché questa cosa non era nelle nostre corde e avevamo l’impressione che ci stesse sfuggendo di mano. Provvidenzialmente arrivò un ambasciatore. Andrea era un ragazzo che conoscevo da quando eravamo bambini, ma frequentava la cricca dei nostri avversari. Era un buon amico e la cosa lo faceva star male. Così decise di mettersi in mezzo e fare da paciere. Mi propose un incontro chiarificatore per evitare la prevista battaglia. Accettai.
All’incontro, che si tenne di notte al Campo dei Tigli, che allora, in notturna, era buio pesto, C’eravamo solo io, il tipo nerboruto e Andrea che faceva da garante. Ci parlammo, lui disse che a offenderci era stato uno di loro che era un mezzo deficiente, io dissi che, stando così le cose, potevamo metterci una pietra sopra. Ci stringemmo la mano e fu fatta la pace. Fu così che venne evitata la prima guerra tra bande di Montegranaro. Prima di andarsene, il tipo nerboruto, per suggellare la pace appena stipulata, mi offrì di fumarci insieme una canna. A momenti lo picchiai davvero.

Luca Craia

Divieti per i cani, ma il problema sono i padroni.



La segnalazione mi arriva da alcuni residenti nella zona Palazzetto dello Sport, a Montegranaro. È una questione di poco conto, almeno così sembrerebbe, sulle quali ci sarebbe poco da scrivere. Ma ci scrivo perché è utile per un ragionamento più ampio che vorrei condividere con voi. Ecco il caso: nel giardinetto tra la scuola media e il palazzetto fa bella mostra di sé, all’ingresso, il cartello che vieta di introdurre cani all’interno del recinto. È un divieto che va di moda, lo hanno messo anche in viale Gramsci, anche se su un solo ingresso, come se per gli altri ingressi i cani potessero passare. Ma, nonostante il cartello, la gente entra tranquillamente col cane. Il problema non sarebbe quello. Il problema è che le bestiole vengono lasciate fare i loro bisogni tranquillamente e nessuno li raccoglie, rendendo il luogo sporco, degradato, imbruttito. E questo avviene in ogni spazio verde cittadino.
Sono proprietario di un cane e sono fortemente contrario ai divieti per i cani non perché coinvolto direttamente ma perché, come questo caso dimostra, non risolvono il problema. Il problema, come sempre, è educativo e la gente, purtroppo, è maleducata. Non è con un divieto che si può educare la gente, specie se nessuno lo farà mai rispettare. La gente va educata con l’insegnamento, l’esempio e le sanzioni. Quindi i cartelli non servono a nulla, fanno soltanto sentire discriminati i cittadini che invece rispettano le regole e il prossimo. Serve fermezza per educare. Serve vigilare e punire chi contravviene non a un cartello ma alle regole del vivere civile. Un cartello disatteso diventa antieducativo. Un divieto che non viene fatto rispettare diventa antieducativo. Non servono i cartelli, serve vigilanza e fermezza. In un mondo di gente educata e rispettosa i cartelli sono inutili. Nel nostro sono dannosi, quando sono fini a se stessi.


Luca Craia

Carabiniere di Monte San Giusto: attesa infinita e rischio risarcimento per il ladro.



Siamo al quarantesimo giorno di attesa per l’appuntato di Monte San Giusto che, ricorderete, colpì un malvivente, uccidendolo, con un proiettile partito nel tentativo di evitare di farsi uccidere a sua volta dal medesimo. Un’attesa lunghissima, è facile immaginarlo, oserei dire disumana, in cui il naturale travaglio che un uomo retto subisce per aver ucciso un altro uomo, per quanto involontariamente, viene gravato del fardello del non sapere quale futuro si avrà, una spada di Damocle che potrebbe implicare sia l’archiviazione del caso, come ci si aspetterebbe, ma anche un rinvio a giudizio e, addirittura, un procedimento civile per risarcimento danni.
Sì, perché in Italia è possibile anche questo. È possibile che la famiglia di un delinquente che perda la vita nell’atto di delinquere possa essere risarcita. Ci sono casi importanti con cifre altrettanto importanti nella giurisprudenza recente. Ci sono leggi contraddittorie soggette all’interpretazione del giudice. C’è un garantismo degenerato che induce alcuni giudici a schierarsi dalla parte di chi delinque piuttosto che da quella di chi legittimamente si difende o, addirittura, di chi, per proprio dovere, difende i cittadini. Come in questo caso.
Ieri il Carabiniere di Monte San Giusto è stato sentito dal giudice, finalmente, e quindi il quadro dovrebbe essere completo, tra perizie e rilievi. Quindi si dovrebbe andare verso l’archiviazione del caso. Ma, anche in questa ipotesi, c’è la possibilità che la famiglia del ladro ucciso possa intentare un’azione civile per ottenere un risarcimento. E potrebbe anche ottenerlo, anche se è dimostrato che il loro congiunto era un criminale, ladro e potenziale assassino, visto che tentò di uccidere lo stesso carabiniere e gli altri suoi colleghi.
Credo che un tutore dell’ordine non debba essere sottoposto a questo castigo, perché di castigo si parla, quando si tiene una persona per decine di giorni nell’attesa di sapere. Credo che non si possa nemmeno contemplare la possibilità che un tutore dell’ordine debba rischiare di dover pagare un risarcimento per un’azione compiuta nell’adempimento del proprio dovere. Credo che questa storia, come tante altre prima, testimoni come il nostro Paese stia andando verso una deriva dottrinale e ideologica che, se da un lato crea immensi danni all’ordine pubblico, dall’altro genera un’esasperazione nei cittadini che non può portare a nulla di buono. Uno Stato civile e moderno deve avere leggi chiare, facilmente applicabili, difficilmente sottoponibili a interpretazione. Deve avere sanzioni giuste e inevitabili. E chi difende il cittadino deve essere tutelato e non può temere nulla dallo Stato che serve.  


Luca Craia

I Consigli di Don Scrimoletto