Mi ha fatto molta tristezza
la polemica durante e dopo il festival di Sanremo sulle performance di Mirkoeilcane
e di Pierfrancesco Favino. Una grande tristezza dovuta alla constatazione di
quanto siamo diventati meschini, gretti, insensibili, di quanto tutto si riduca,
come sempre in Italia ma mai così tanto come ora, alla consueta contrapposizione
tra Guelfi e Ghibelli, tra interisti e milanisti, tra comunisti e fascisti. In
Italia non c’è la sfumatura, non c’è la mediazione, non c’è spazio per l’intelligenza
e il ragionamento, non c’è spazio per il cuore.
Mirkoeilcane ha portato un
pezzo strepitoso che racconta, con temi aulici struggenti, le sensazioni dell’innocenza
di un bambino imbarcato su uno di quegli scafi della speranza che spesso si
trasformano in bare galleggianti. Un racconto puro, sublime, con un tentativo
appena percepibile di rovesciare le parti dando la sensazione che il bambino
sulla barca fosse in fondo un bambino italiano. Non c’era nulla di politico in
quella canzone, c’era solo molto di umano, di quella empatia e sensibilità che
non riusciamo più a sentire e trovare tanto siamo inferociti.
Nel pezzo di Favino, nella
sua struggente interpretazione del monologo "La
notte”, dal dramma di Bernard-Marie Koltès, l'attore ci ha proposto lo stesso sentire
da parte di un adulto. La sofferenza dell’uomo, quello doveva arrivare, e l’uomo
che ascolta non può non percepirla, farla sua, condividerla e soffrirne. E
tutto questo prescindendo da come la si pensi sul problema dell’immigrazione e
sulle conseguenze che questa comporta nel nostro vivere quotidiano.
Chi segue quello che scrivo sa qual è la mia
posizione in materia. La riassumo per chiarezza: ritengo che serva una
regolamentazione in materia, ritengo che l’Italia, come l’Europa, non possa più
permettersi l’accoglienza che è stata fatta fino a oggi e che sia necessario
stabilire regole precise che tutelino noi e chi viene da noi. Questo non mi ha impedito di commuovermi a
Sanremo, di sentire l’acqua gelida del bambino di Mirkoeilcane e la
disperazione del protagonista della storia narrata da Favino.
Questo è il nostro grande
problema, in Italia. Siamo incattiviti, inariditi, incapaci di mediare, di
comprendere le sfumature. Perché le situazioni non sono mai tutte bianche o
tutte nere, non ci sono confini netti e definiti da bene e male. Abbiamo enormi
problemi in Italia derivanti dall’immigrazione: problemi di ordine pubblico, di
criminalità, di diseguaglianza sociale. Sono problemi che vanno analizzati e
compresi con razionalità ma anche col cuore, perché siamo esseri umani e non
possiamo dimenticarcelo. E se ci manca il cuore e la capacità di comprendere e
condividere la sofferenza altrui, corriamo seri rischi, perché quando l’uomo
smette di ascoltare il cuore, la storia ce lo insegna, capitano cose
inimmaginabili, indicibili, vergognose.
Luca Craia