giovedì 15 febbraio 2018

Mezzina: vinti 4 ricorsi su 4. Soddisfazione e rammarico di Gastone Gismondi



Comunicato integrale

Ho appreso che il Giudice di Pace di Fermo ha annullato i verbali della Provincia di Fermo condannandola anche alle spese di giudizio per le sciagurate multe della Mezzina.
Sciagurate perché non si attiva a sorpresa un nuovo sistema di controllo, senza prima un’adeguata campagna di informazione.
Chi passa sulla Mezzina ogni giorno è il lavoratore che va in fabbrica e prima di mettere le mani in tasca a chi lavora si dovrebbe pensare che dietro ci sono famiglie che lottano per arrivare a fine mese e vedersi arrivare all’improvviso non una ma più multe rappresenta una vera disgrazia.
Ma questo non interessa a chi governa in Provincia, l’importante è fare quadrare i propri di conti perché se di sicurezza si vuole parlare, bisogna avere l’onestà di dire che c’era il tutor e tolto questo le auto hanno ripreso a correre, come pure che sono altri i punti critici dove servirebbe maggior controllo, ma che importa.
Sono quindi soddisfatto per averci messo per primo e a ragione la faccia al punto da avere firmato io e soltanto io l’esposto alla Procura della Repubblica di Fermo perché vada a verificare che non si sia in presenza di un sistema mangiasoldi a discapito di tanti consumatori.
Ringrazio quindi l’Avv. Andrea Agostini per avere messo immediatamente la sua competenza professionale a disposizione, come pure il Senatore Remigio Ceroni e l’Onorevole Simone Baldelli di Forza Italia subito venuti a soccorso degli abitanti della Provincia ingiustamente multati.
La mia battaglia non finisce qui.
Intendo ora rivolgermi alla Corte dei Conti per capire se i proventi di queste multe illegittime che qualcuno sbagliando ha voluto a tutti i costi e le spese di giudizio che derivano dal loro annullamento rappresentano un danno erariale per la stessa Provincia.
Chi sbaglia deve pagare.
E qui sta il mio rammarico.
Sono dispiaciuto per tutti quelli che ricevute le multe le hanno pagate e non possono quindi fare più nulla per riavere i propri soldi nonostante il torto subito.
Ma una possibilità di rivalsa c’è. Il prossimo 4 marzo mandiamo a casa il PD e la sinistra di governo.

Gastone Gismondi

Attacchi dei lupi al patrimonio zootecnico: occorrono maggiori misure di prevenzione.



Comunicato integrale

La consigliera della Lega delle Marche Marzia Malaigia ha presentato oggi un'interrogazione con la quale chiede alla giunta regionale quali iniziative di prevenzione intende promuovere per superare efficacemente ed in tempi rapidi la preoccupante situazione di tutte quelle aziende marchigiane che da anni continuano a subire danni ai loro allevamenti a causa dei lupi. Solo negli ultimi mesi si è assistito, nella nostra regione, a numerosi casi di predazione che hanno provocato la morte di decine di pecore e agnelli.
La consigliera Malaigia sostiene che i nostri allevatori hanno bisogno di vedere garantita la continuità della loro attività, oggi troppo spesso minata da questi gravi episodi che li costringono ad assistere, inermi e con il dolore nel cuore, a scene impressionati e cruente e a dover fronteggiare situazioni emergenziali che creano forti squilibri gestionali nelle loro aziende, difficilmente superabili nell'immediato.
Non si può continuare in questo modo - continua la Malaigia -  l’aumento della pressione dei lupi sta rendendo sempre più difficile l’attività delle aziende e, soprattutto, di quelle già duramente colpite dal sisma. I nostri allevatori sono esasperati e addirittura molti di loro stanno rinunciando a segnalare i danni subiti perchè si sentono abbandonati dalle Istituzioni, lamentano l'eccesso di burocrazia, ritardi nell’erogazione degli indennizzi che spesso, tra l'altro, non coprono neanche la metà del danno effettivo, senza considerare la perdita delle quote di mercato e tutte le altre conseguenze che non vengono riconosciute.
La consigliera Marzia Malaigia sostiene che gli indennizzi possono alleggerire un po' il mancato guadagno ma gli allevatori hanno soprattutto bisogno che le loro aziende rimangano produttive. Occorrono quindi azioni incisive di prevenzione finalizzate a contenere il rischio di predazione e i potenziali conflitti tra il lupo e gli allevatori, in considerazione che quelle poste in essere finora risultano palesemente non risolutive della problematica.

Marzia Malaigia

La matematica e il pranzo del venerdì. Un ricordo amorevole di una Macerata lontana.



Questa è una cosa che ho scritto tempo fa e oggi ho ritrovato. Mi piace ripubblicarla in questi giorni in cui la mia città di adozione, la mia patria elettiva, il luogo dei giorni spensierati della mia giovinezza, Macerata, sta subendo forse il momento più oscuro e doloroso della sua storia recente. Lo ripubblico, tra tante polemiche, tra cui alcune sollevate da me, per cercare di mettere al centro di ogni pensiero l’amore per questa città, che deve essere il motore di ogni cosa, scevro di interessi politici, economici o ideologici. Macerata, mai come ora, ha bisogno dell’amore dei Maceratesi.

La matematica è sempre stata la mia bestia nera. Un po’ per indole, un po’ per una probabilissima atrofia delle sinapsi del calcolo (esistono?), un po’ perché la mia adorata maestra elementare, la maestra Lina, insegnandomi l’amore per lo scrivere, ha trascurato di inculcarmi quello per i conti, fatto sta che mi ritrovai al liceo scientifico a litigare quotidianamente con le operazioni più elementari, tanto da meritarmi un quattro alla fine del terzo e una bella bocciatura a settembre, onta sulla mia immacolata carriera scolastica fatta di un dignitoso impegno minimo sindacale con rendimento alto. Questo, però, mi fece conoscere il professor Soldini, l’insegnante che mi diede ripetizioni estive e mi tirò fuori dal pantano matematico in cui ero finito.
Superato brillantemente l’esame di riparazione settembrino, i miei decisero che sarebbe stato opportuno continuare a usufruire dell’aiutino di Soldini, così i miei venerdì pomeriggio, per gli ultimi due anni di liceo, furono dedicati alle ripetizioni di matematica. Restavo a Macerata alla fine delle lezioni e, alle 15,00, andavo a Santa Croce, dove abitava il mio professore di ripetizioni, a farmi le mie due ore di full immersion tra derivate, integrali, parabole, iperboli e tangenti.
Il venerdì era per me un giorno speciale. Già che la sera, al rientro a casa, dovevo fare in fretta e furia per arrivare in tempo a Radio Veregra perché alle 18,45 iniziava il mio programma settimanale, Hot Dog, che non era l’unico che facessi ma era quello a cui tenevo di più. Significava scendere dalla corriera alle sei e un quarto, correre a casa, caricarsi in spalla la tracolla dove tenevo i dischi che avevo messo in scaletta (una buona metà dei pezzi che mettevo provenivano dalla mia discoteca privata) e arrivare trafelato in radio appena in tempo per il cambio di studio con Nicola Vacca che mi precedeva in onda.
Però prima c’era il pomeriggio di studio della matematica che, se all’inizio era una specie di castigo divino, gradualmente era diventato un piacere. Lo era diventato certamente grazie a Soldini che stava incredibilmente riuscendo a farmi capire la materia e, udite udite, a farmici divertire. Ma la parte più bella erano quelle paio d’ore di assoluta solitudine in giro per Macerata, in attesa che venisse l’ora delle ripetizioni. In un primo momento avevo iniziato a mangiare in refettorio, dai Salesiani, ma non lo gradivo, sia perché non è che si mangiasse divinamente, ma anche perché era una specie di prolungamento dell’orario scolastico e la cosa mi infastidiva. Così, d’accordo coi miei, decisi di trovare un posto dove mangiare fuori senza spendere un capitale.
Trovai una piccola trattoria in corso Matteotti. Era piccolissima, poco più che un corridoio. Appena entravi c’era, sulla sinistra, il bancone del bar, uno di quelli anni ’70 con gli inserti in alluminio anodizzato color oro. Proseguendo lungo lo stretto locale si accedeva alla sala da pranzo, dove il vano si allargava leggermente per fare spazio a due file di piccoli tavoli addossate alle pareti. Al centro del muro sinistro c’era l’ingresso della piccola cucina dalla quale provenivano profumi deliziosi. Appena ci entrai, la prima volta, trovai al banco una ragazza poco più grande di me. Io avevo più o meno sedici anni e lei forse venti o ventidue. Alta, magra magra, bionda bionda e riccia riccia, con gli occhiali grandi di finta tartaruga come andavano di moda allora. Mi accolse con un sorriso e, alla mia domanda se potessi pranzare, mi fece accomodare a un piccolo tavolo singolo in fondo alla sala. La piccola trattoria era gestita da una famigliola maceratese che, col tempo, imparai a conoscere. Erano padre, madre e due figlie, la seconda un po’ più piccola di quella che avevo conosciuto per prima. Erano persone gentilissime e molto aperte, e feci presto a fare amicizia con loro. La trattoria, all’ora in cui arrivavo io, non era mai troppo piena e in breve presi una tale confidenza che, forse anche per la mia età molto giovane che inteneriva i due genitori, arrivai a pranzare al loro tavolo, trovando un calore familiare che non mi sarei mai aspettato pranzando fuori casa. Era una sensazione piacevole, pranzare con gente cordiale che ti fa sentire a casa, con la televisione che trasmetteva Raffaella Carrà che contava i fagioli nel vaso. Però forse non era esattamente quello che cercavo.
Probabilmente fu proprio questo che, dopo molti mesi in cui il mio pasto alla trattoria di corso Matteotti era diventato routine, decisi di staccare e andarci sempre meno. In realtà amavo molto la mia solitudine del venerdì. Mi permetteva di pensare, di fantasticare, e il mio camminare per le strade di Macerata col bavero del giubbotto di pelle alzato e i capelli lunghi agitati dal vento, mentre facevo la strada che da viale don Bosco arrivava a via Giuliozzi, a Santa Croce, dall’altro lato della città, mi faceva sentire tanto rock. Così trovai un altro posto dove mangiare, un ristorantino che faceva anche da pub serale all’angolo tra via Roma e corso Cavour. Lì mangiavo davvero solo ed era decisamente più triste. Ma si sa, a sedici anni, in piena adolescenza, un pizzico di maledetta tristezza leopardiana ci sta tutta.
Ogni tanto tornavo a prendermi un primo alla trattoria del centro, ma non mangiavo più al tavolo dei proprietari. Probabilmente anche loro avevano capito la mia necessità di distacco, però la cosa mi creava una specie di magone, così smisi proprio di andare e alla fine del quinto liceo pranzavo solo in via Roma. Però il ricordo della cotoletta con le patatine che facevano apposta per me e quel calore da famiglia trovata per caso che trovai in quel locale ancora lo porto vivo, e a volte mi pare ancora di sentire gli odori, quei profumi lontani di una bella giovinezza spensierata.

Luca Craia