venerdì 16 marzo 2018

Aldo Moro: 40 anni fa cambiava la storia d’Italia.

Me lo ricordo molto bene, quel 16 marzo 1978. Ero un bambino, ma mi impressionò tantissimo la notizia prima del rapimento e poi dell’uccisione di Aldo Moro. Era una notizia di quelle tragiche, quelle che danno la sensazione che si sia rotto qualcosa. E si era rotto davvero qualcosa, rotto irrimediabilmente.
La morte di Aldo Moro ha segnato la fine di un’era politica e sociale. Ha messo una pietra tombale su ogni aspirazione di successo per la lotta armata, ma ha anche aperto la crisi ideologica della sinistra italiana, portando alla fine del Partito Comunista, avvenuta, con la prospettiva di tanti anni passati, poco tempo dopo. Ha messo in crisi gli ideali che animavano la lotta di classe e tagliato ogni filo che potesse legare la sinistra extraparlamentare col Paese reale, relegando i ragionamenti sulla rivoluzione ai salotti radical e ai tavoli degli intellettuali con la erre moscia.
Le Brigate Rosse non hanno solo assassinato Aldo Moro, hanno ucciso una classe politica. Quella classe politica fatta di uomini alti, culturalmente e moralmente, uomini che lavoravano per la Costituzione e per il Paese, ha visto iniziare la propria fine dentro quella Renault 4 rossa, una fine che arrivò con l’ascesa di Craxi e il profondo mutamento di costume portato dagli anni ’80.
Non voglio idealizzare: si rubava anche prima. C’era corruzione ma era quella corruzione endemica alla politica, quella che, con un pizzico di fatalismo, definirei inevitabile. Ma la questione morale, fino alla morte di Moro, non era un problema prioritario. Chi governava aveva l’obiettivo primario nel ben del Paese, per poi, magari, trovare il proprio tornaconto. La morte di Moro ha condotto l’Italia verso l’epoca in cui gli obiettivi si sono prima ribaltati, per poi vedere annientato quello più nobile.
Sarebbe stata un’Italia diversa se Moro non fosse stato ucciso, ne sono convinto. Se Le BR avessero avuto il coraggio e la lungimiranza di liberarlo, avrebbero consentito in questo modo il cambiamento  della politica italiana che aveva in mente il Presidente della DC, con un effetto filtro che avrebbe eliminato dalla scena tanti personaggi equivoci che, negli anni successivi, hanno condotto il Paese fino a Tangentopoli e all’avvento del berlusconismo, con il tracollo morale che ne è conseguito. Lasciare vivere Moro avrebbe salvato la sinistra dalla fine indegna che ha fatto, depurandola dalle connotazioni negative del marxismo, e messo i presupposti per una destra diversa, moderna, sganciata dalle pesanti eredità ideologiche del passato.
Oggi possiamo solo rimpiangere quello che non è stato. Ma possiamo anche comparare le qualità umane e politiche di chi governò l’Italia fino a quell’infausto periodo con quelle di coloro che fingono di governarla oggi. Potremmo attingere a quel patrimonio morale e culturale e pretenderlo oggi da chi si candida a guidarci. Ecco il punto: gli Italiani devono imparare a pretendere qualità da chi governa. È un diritto del Popolo Italiano, un diritto che abbiamo dimenticato.
                            
Luca Craia

giovedì 15 marzo 2018

Rilancio imprenditoriale post terremoto. In arrivo 30 milioni per le Marche. Speriamo non finiscano a Pesaro.



Con la circolare per il rilancio imprenditoriale delle aree del cratere sismico pubblicata ieri dal MISE, arrivano nelle Marche 29.700.000 Euro destinati alle aziende che hanno subito gravi danni economici a causa del terremoto di oltre un anno e mezzo fa. Arrivano tardi, quando ormai molte imprese hanno già chiuso i battenti, ma possono rappresentare un’importante boccata di ossigeno, oltre che uno stimolo ad andare avanti, per aziende di vari settori come “manifatturiero, servizi, turismo, commercio e telecomunicazioni, oltre a diversi segmenti del comparto ambientale”, secondo quando comunicato dalla Regione. “L’obiettivo” dice l’assessore Bora “è quello di rafforzare il tessuto produttivo locale e di attrarre nuovi investimenti”.
I contributi verranno erogati a progetti di investimento diretti a realizzare investimenti produttivi e per la tutela ambientale, mantenendo o incrementando il livello occupazionale esistente nel momento della presentazione della domanda. L’investimento minimo finanziabile non può essere inferiore a 1.500.000 Euro.
È una buona opportunità per l’economia marchigiana colpita dal sisma, ma esiste il rischio che questi soldi non finiscano esattamente dove dovrebbero finire. In effetti è da lungo tempo che le zone a nord delle Marche, in particolare la provincia di Pesaro che, tra l’altro, esprime l’attuale Presidente, lamenta fantomatiche ripercussioni negative legate all’evento tellurico, evidentemente preparando il terreno per ricevere aiuti e contributi.
Nel comunicato stampa della Regione, peraltro, non si parla di requisiti territoriali specifici, il che fa temere che parte di questi fondi possano finire non direttamente nelle province colpite ma che possano essere distribuiti a pioggia con i soliti criteri poco chiari. Sarebbe quindi opportuno che l’assessore Bora e, soprattutto, l’assessore Sciapichetti, espressione territoriale del Maceratese, garantiscano che questi aiuti finiscano solo ed esclusivamente alle imprese del cratere. Sarebbe anche opportuno che le associazioni di categoria del territorio pretendano questa garanzia. Attendiamo fiduciosi la precisazione.

Luca Craia

Un ricordo di Enrico Ermelli Cupelli nel quinto anniversario della scomparsa.



Oggi ricorre il quinto anniversario della morte di un grande uomo politico italiano, forse l’ultimo Fermano a occupare ruoli politici di rilievo in Italia: Enrico Ermelli Cupelli.
Spesso ho dichiarato di avere nostalgia per i politici del passato confrontati con i nostri rappresentanti del presente, per il loro spessore umano e culturale, la loro preparazione e il loro rispetto per le istituzioni e per lo Stato. Quando penso ai prototipi dell’uomo politico integerrimo, di come dovrebbe essere, oltre a Spadolini, Berlinguer, Moro, Pertini, la figura che mi appare più chiaramente è quella di Ermelli, forse perché l’ho conosciuto personalmente, forse perché ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare al suo fianco nel periodo in cui, giovane repubblicano poco più che ventenne, ero segretario politico cittadino a Montegranaro e lottai con lui per la sua ultima campagna elettorale, quella del 1992, forse perché lo considero in qualche modo un maestro. Enrico mi ha insegnato molto, sia di politica che di vita, ma soprattutto mi ha trasmesso il suo profondo senso civico che mi vanto di possedere tuttora.
Ermelli è stato la più alta espressione della politica del Fermano dopo Giovanni Conti, rappresentante irreprensibile del territorio e del suo elettorato, vanto per Fermo tutta. Egli ha interpretato la politica come servizio fin dalla sua esperienza nella Resistenza, passando per l’impegno politico nella città di Fermo per finire come Deputato e Sottosegretario. Mazziniano puro, uomo di grande cultura, finissimo statista, era anche persona amabile, disponibile, di piacevolissima compagnia (ricordo diverse pizze mangiate allegramente a tarda sera durante quella campagna elettorale).
Dopo la sua mancata elezione del 1992 il Fermano non è più riuscito ad esprimere una rappresentanza politica di quel livello e forse sono mancati uomini della sua stessa qualità. Per questo e per il prestigio che ha donato alla nostra terra con il suo impegno indefesso nonostante gravi problemi di salute, credo sia importante coltivarne il ricordo..

Luca Craia