Tutti i delinquenti sono
uguali, il crimine non ha nazionalità, il furfante non ha bandiera. Secondo
questo giusto principio, perfettamente condivisibile, si nota un recente
atteggiamento della stampa che, riportando notizie di cronaca con protagonisti
delinquenti stranieri, omette di riferire questo particolare. È una forma di
tutela verso gli stranieri, onde evitare che si inneschino spirali di odio
xenofobo, o si tratta di ipocrisia? Protendo per la seconda ipotesi.
Se è vero che un criminale
straniero non è certamente più criminale di uno nostrano, è anche vero che,
riportare la notizia, testimoniare la realtà e resocontare l’accaduto non
dovrebbe avere alcun tipo di omissione. Non citare la nazionalità del reo è
certamente un’omissione, una parte di verità che viene sottaciuta consapevolmente.
E, se la motivazione può essere umanamente giusta, come tutela dei cittadini
stranieri in generale, omettere questo tipo di particolare può falsare la
percezione di quello che accade realmente.
A pensarci bene, infatti, il
dato della nazionalità del criminale non è un dato che va trascurato nell’analisi
della realtà. Sapere se un certo crimine, o la criminalità in genere, è in mano
a una certa etnia o, comunque, di cittadini di origine straniera, anche
strettamente da un punto di vista statistico è importante e può aiutare a
mettere mano al problema con maggior cognizione, sia da un punto di vista investigativo
che politico. E, per quest’ultimo, è necessario che la stessa popolazione si
informata a pieno per poter poi decidere di conseguenza sul piano, appunto,
politico. Il giornalista che omette questi dati, quindi, non solo
deontologicamente non è corretto ma non svolge un buon servizio all’informazione.
Luca Craia