mercoledì 21 marzo 2018

L’ipocrisia giornalistica di non dire la nazionalità dei delinquenti.




Tutti i delinquenti sono uguali, il crimine non ha nazionalità, il furfante non ha bandiera. Secondo questo giusto principio, perfettamente condivisibile, si nota un recente atteggiamento della stampa che, riportando notizie di cronaca con protagonisti delinquenti stranieri, omette di riferire questo particolare. È una forma di tutela verso gli stranieri, onde evitare che si inneschino spirali di odio xenofobo, o si tratta di ipocrisia? Protendo per la seconda ipotesi.
Se è vero che un criminale straniero non è certamente più criminale di uno nostrano, è anche vero che, riportare la notizia, testimoniare la realtà e resocontare l’accaduto non dovrebbe avere alcun tipo di omissione. Non citare la nazionalità del reo è certamente un’omissione, una parte di verità che viene sottaciuta consapevolmente. E, se la motivazione può essere umanamente giusta, come tutela dei cittadini stranieri in generale, omettere questo tipo di particolare può falsare la percezione di quello che accade realmente.
A pensarci bene, infatti, il dato della nazionalità del criminale non è un dato che va trascurato nell’analisi della realtà. Sapere se un certo crimine, o la criminalità in genere, è in mano a una certa etnia o, comunque, di cittadini di origine straniera, anche strettamente da un punto di vista statistico è importante e può aiutare a mettere mano al problema con maggior cognizione, sia da un punto di vista investigativo che politico. E, per quest’ultimo, è necessario che la stessa popolazione si informata a pieno per poter poi decidere di conseguenza sul piano, appunto, politico. Il giornalista che omette questi dati, quindi, non solo deontologicamente non è corretto ma non svolge un buon servizio all’informazione.

Luca Craia

Montegranaro: lavori nella scuola di Santa Maria di nuovo rinviati.


Erano previsti per questa primavera i lavori di adeguamento sismico del plesso scolastico di Santa Maria, a Montegranaro, lavori che dovrebbero portare l’edificio, almeno a detta di alcuni assessori come l’ingegner Roberto Basso, ad avere un coefficiente di vulnerabilità sismica pari a 1, ossia quanto previsto dalla legge. Lavori necessari e finanziati coi soldi del terremoto che però slitteranno ancora. Lo ha comunicato stamattina il Sindaco, Ediana Mancini, con una nota apparsa sulla pagina Facebook ufficiale del Comune.
“Non volendo arrecare disagi all’attività didattica in prossimità della fine dell’anno scolastico” dice la Mancini “e considerato inoltre che l’ordinanza relativa al secondo Piano delle Opere Pubbliche del Commissario Straordinario alla Ricostruzione non è ancora stata registrata presso la Corte dei Conti, abbiamo ritenuto opportuno posticipare il trasloco”. Una decisione presa congiuntamente alla direzione didattica che lascia perplessi.
Perplessità espresse anche da alcuni genitori che vertono sul fatto che, comunque, l’edificio attualmente è totalmente fuori norma, con un coefficiente di vulnerabilità decisamente al di sotto della legge. Un edificio pericoloso, in caso di un nuovo terremoto. E va ricordato che la terra continua a tremare, con scosse quasi quotidiane che, se a Montegranaro non si avvertono, sui Sibillini fanno ancora preoccupare. In tutto questo pare non ci sia fretta di mettere al sicuro le centinaia di piccoli alunni della scuola.

Luca Craia

Solidarietà a Enzo Rendina, terremotato stoico sotto processo perché difendeva il suo diritto di stare nella sua terra.


Enzo Rendina è finito sotto processo. Dopo aver perso tutto a causa del terremoto che ha distrutto il suo paesino, Pescara del Tronto, dopo aver rischiato egli stesso di rimanere schiacciato dalle macerie della sua casa, dopo aver aiutato i soccorsi nonostante vittima egli stesso, ora lo Stato lo processa. Un processo che segue l’arresto, avvenuto nel gennaio dell’anno scorso, che l’uomo ha dovuto subire perché rifiutava di lasciare i luoghi del terremoto, la sua terra.
Rendina non voleva essere deportato come tanti suoi compaesani, non voleva che lo Stato, anziché sostenerlo e trovare tutte le soluzioni perché lui e i gli altri Pescaresi potessero restare a Pescara, a far vivere quel paese distrutto, a mantenere viva la comunità, lo sbattesse a centinaia di chilometri da lì e chissà per quanto tempo. Resistenza a pubblico ufficiale, l’accusa, insieme quella di interruzione di pubblico esercizio. Ci sarà un processo, coi tempi lunghi che la giustizia italiana accusa, un processo che Rendina sta già attendendo da oltre un anno e che è stato di nuovo rinviato, l’altro ieri, al 17 settembre.
Rendina respinge le accuse e lamenta a sua volta di essere vittima di un processo di ritorsione, per il suo impegno, per il suo darsi da fare, per il suo non accettare quanto veniva imposto. Io non ero presente al momento della sua presunta “resistenza”, quando volevano cacciarlo da Pescara, e non so cosa sia accaduto esattamente. So solo che c’è un uomo che, oltre alla sofferenza che ogni terremotato prova per essere stato strappato alla sua casa, alla sua terra, alla sua vita, oggi deve subire un procedimento giudiziario che, francamente, credo potesse essere evitato. Ma lo Stato si mostra sempre implacabile coi deboli e debolissimo coi forti.
Non conosco Enzo Rendina personalmente e non posso fare altro che esprimergli la mia più totale solidarietà, di fronte all’ennesimo tassello che testimonia la volontà vessatoria dello Stato nei confronti dei terremotati.

Luca Craia