giovedì 5 aprile 2018

E di notte, roulette russa. Anche al mattino presto.

Ogni tanto torno sull’argomento dell’incrocio tra le provinciali Mezzina, Elpidiense e Montegranarese perché ritengo, suffragato, purtroppo, da fatti anche luttuosi, che si tratti di uno dei punti più pericolosi di tutta l’arteria che collega mezzo Fermano col capoluogo. Ciononostante, anziché pensare di ridurne la pericolosità, magari sostituendo l’impianto semaforico con una rotatoria che potrebbe limitare fortissimamente l’entità di eventuali incidenti, si lasciano addirittura i semafori spenti o lampeggianti, facendo diventare l’intersezione una specie di roulette russa.
La cosa assurda è che l’impianto di notte è spento. Nel momento in cui, forse, esiste una maggiore pericolosità, l’incrocio non è regolato. Adesso, poi, che è in vigore l’ora legale, nessuno ha pensato ad adeguare l’orologio che temporizza l’accensione dell’impianto. Così capita che al mattino, intorno alle 7:30, ora in cui comincia a esserci un discreto traffico da lavoro, l’incrocio sia affidato alla perizia e alla prontezza degli automobilisti.
È uno strano modo di dimostrare la famosa attenzione alla sicurezza stradale, tanto sbandierata dalla Provincia di Fermo. Ricordiamo che le strade interessate sono di competenza provinciale ma l’impianto è gestito dalla Polizia Municipale di Sant’Elpidio a Mare.

Luca Craia

La strettoia di Porta Romana è pericolosa. Le luci semaforiche non sono ornamentali. Ci pensi l’assessore Perugini.



Porta Romana, la strettoia in mezzo a Montegranaro che strozza in due quella che era la strada principale prima della costruzione della circonvallazione, dividendola in via Elpidiense Nord e via Cavallotti, è regolata da un impianto semaforico da tempi immemorabili. Sempre da tempi immemorabili i Montegranaresi o, almeno, alcuni di essi, evidentemente i più refrattari a concetti come rispetto delle regole e del prossimo, la attraversano senza curarsi troppo della luce presente sul semaforo, potrebbe anche essere fucsia o blu oltremare, tanto passano lo stesso.
È ovvio che questo costituisce un pericolo per chi, invece, guarda la luce, aspetta il verde e, quando si accende la lucina che autorizza al passaggio, passa sicuro della stessa diligenza da parte degli altri, trovandosi poi una macchina quasi addosso se non addosso. Col tempo abbiamo imparato un po’ tutti a non fidarci troppo del semaforo e a guardare bene prima di passare, ben consapevoli del fatto che ci può essere sempre qualcuno che se ne frega e ti viene addosso. E se ti viene addosso il problema si fa serio, perché è una parola dimostrare che si è passati col verde e l’altro col rosso e non viceversa. Oggi poi, che circolano un sacco di auto senza assicurazione, avere un incidente di questo tipo fa rischiare ancora di più.
Credo che sia giunto il momento che le istituzioni, nella fattispecie il Comune, comincino a far rispettare quelle lucine che non sono affatto ornamentali. Lo dico anche perché l’assessore Perugini che, oltre a essere assessore a Montegranaro, lo è anche per la Provincia di Fermo, ha più volte affermato di avere molto a cuore la sicurezza delle strade e degli automobilisti-cittadini, ultimamente motivando in questo modo decisioni bizzarre come l’uso dell’autovelox al posto del tutor lungo la Mezzina. Ecco, con lo stesso principio, io aumenterei i controlli a Porta Romana, mettendo sistematicamente delle pattuglie che vigilino e, perché no, nella distribuzione a pioggia di telecamere lungo le vie del paese, non ometterei di metterne un paio proprio qui. Magari che funzionino pure.

Luca Craia


Vivere sicuri col terremoto? Si può, ma occorre eliminare le vulnerabilità.


Nella foto: Emanuele Tondi (foto: Radio Gold)
La ricetta per convivere col terremoto è semplice e ce la fornisce, con la solita professionale schiettezza, il professor Emanuele Tondi, geologo, docente all’Università di Camerino e Sindaco di uno dei comuni più colpito dal terremoto del 2016, Camporotondo di Fiastrone. Come si fa a non morire di terremoto? “Per stare sicuri e tranquilli” ci dice Tondi in una nota pubblicata sul suo profilo Facebook “occorre abitare e/o frequentare edifici non vulnerabili rispetto alla sismicità dell’area in cui si trovano”.
Sembra l’uovo di colombo ma non lo è, almeno non in Italia, dove ci sono problematiche di diverso genere da superare, come la salvaguardia del patrimonio culturale, il rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici, nonché la nostra atavica avversione al rispetto delle regole. Però rendere sicure le costruzioni è necessario, anzi, dovrebbe essere obbligatorio per tutti, privati cittadini e Istituzioni, perché, come dice sempre Emanuele Tondi, “non sappiamo quando, ma i terremoti avvengono sempre nelle stesse zone e con caratteristiche simili”, quindi è necessario fare in modo di rendere il vivere in quelle zone il più sicuro possibile.
Costruire in maniera sicura, quando lo si fa ex novo, è relativamente facile. Oggi ci sono le tecnologie adatte per evitare di morire schiacciati dalla propria abitazione, fermo restando che la sicurezza assoluta non esiste. Ma l’esperienza di Paesi ad alto rischio sismico, come il Giappone o gli Stati Uniti, ha sicuramente ampliato le conoscenze tecniche e oggi si può erigere un fabbricato con caratteristiche di sicurezza elevatissime. Non si può dire la stessa cosa nella ristrutturazione del patrimonio storico che, però, in Italia va comunque tutelato. Anche qui la tecnologia ci soccorre e aumenta il livello di sicurezza a livelli piuttosto alti, per quanto non come per le nuove costruzioni.
Il problema è che nessuno ha mai regolamentato in maniera seria, né si è mai cercato di applicare la regola vigente, tanto che buona parte dello stesso patrimonio pubblico risulta non adeguato ai requisiti minimi di vulnerabilità sismica. Per quanto riguarda il privato il discorso cambia, perché nelle nuove costruzioni esistono obblighi precisi. Per le vecchie case, invece, esiste solo il fato. Ma quando capitano cataclismi come è stato il terremoto del 2016 e si deve intervenire per ricostruire intere aree del Paese, aree ad alto rischio, soggette e ripetuti eventi di questo tipo e quindi particolarmente necessitanti di misure di sicurezza adeguate, bisogna che si pretenda la massima sicurezza negli stabili che si andranno a ricostruire, siano essi pubblici che privati.
Le idee fin qui dimostrate nella cosiddetta ricostruzione sono, però, estremamente vaghe, piuttosto raffazzonate, e distribuite in un dedalo di decreti e ordinanze quasi inestricabile. Non è certo così che si possa garantire la sicurezza della ricostruzione. Sempre che ricostruire si voglia.

Luca Craia