martedì 17 aprile 2018

Una vita spirituale wi-fi. Costanza Miriano spiega come fare a Montegranaro.


In un mondo in cui si vive costantemente connessi con gli altri, con l’informazione, con la possibilità di interfacciarsi in tempo reale con qualsiasi cosa e con chiunque, appare difficile ricavare lo spazio interiore necessario per raccogliersi, pregare, meditare. Si corre, si vive con ritmi imposti più da altri che da noi stessi e, soprattutto, non si è mai realmente soli, almeno in senso stretto. Eppure, organizzare una vita spirituale è possibile. Lo sostiene Costanza Miriano, la celebre giornalista Rai, prima conduttrice del Tg3 e poi corrispondente vaticanista per la Rai che snocciola la questione nel suo ultimo libro, “Si salvi chi vuole”, che la Mirano illustrerà nel corso di un incontro organizzato dall’Unità Pastorale di Montegranaro giovedì 19 aprire, all’Officina delle Arti, alle ore 21.15.
“Recintare uno spazio per l’incontro con Dio” – dice la giornalista nella presentazione del libro – “e cercare di difenderlo a ogni costo è decisivo per la nostra felicità, eppure molti di noi procedono improvvisando, a tratti, con le energie residue, quando si ricordano”. Una realtà conosciuta da molti credenti ed accettata come segno dei tempi. Invece Costanza Mirano ci spiega che è possibile avere una “fedeltà senza fili”, un modo per rapportarsi con la fede e con il raccoglimento nonostante le tante distrazioni e pressioni dei tempi moderni. Per sapere come fare o, almeno, conoscere il punto di vista della giornalista e scrittrice, occorre partecipare all’incontro ed eventualmente procurarsi, il libro. L’argomento è estremamente interessante e attuale.

Luca Craia

Torniamoaussita denuncia. Messe in sicurezza: poche, lente, costosissime.


Torniamoaussita è una delle tante pagine Facebook sorte per monitorare quanto accade nel post terremoto del centro Italia. In particolare, questa pagina si osserva, con dovizia di particolari e con una buona preparazione tecnica, l’evoluzione della situazione a Ussita, paese che, tra le tante disgrazie, ha anche quella di essere commissariato dopo le dimissioni del Sindaco Rinaldi. È proprio su questa pagina che ho trovato, segnalata da un lettore, un’osservazione estremamente interessante che riguarda, ovviamente, il Comune di Ussita ma che può servire da spunto di ragionamento per ogni paese terremotato.
Le messe in sicurezza, a Ussita come ovunque, sono poche, procedono lentamente e costano un botto. Questo a causa delle normative estremamente stringenti ma anche delle indicazioni fornite dai Gruppi Tecnici di Sostegno, istituiti dalla Protezione Civile per sostenere e agevolare il lavoro dei tecnici privati e degli Uffici Tecnici Comunali ma che si sono rivelati un ulteriore cappio che rallenta le procedure.
Il quadro fornito riguardo il Comune di Ussita è disarmante: a fronte di 350 messe in sicurezza di edifici da effettuare, a oggi ne risultano messe in opera soltanto 97, delle quali completate solo 35. Un numero estremamente esiguo che fa pensare che, per terminare solo questo tipo di intervento preliminare occorreranno almeno altri due anni. E parliamo solo di interventi propedeutici alla ricostruzione, non della ricostruzione stessa. Quindi i tempi rischiano di diventare biblici.
Gli amministratori della pagina, inoltre, indicano i costi di tali interventi e forniscono cifre allarmanti, per quanto esemplificativi. Secondo loro, infatti, una messa in sicurezza per uno stabile di 140 metri quadrati costerebbe 110.000 Euro, a cui aggiungere ulteriori 60.000 Euro per le spese di ripristino e riparazione, per un totale di 170.000 euro.  Sono costi abnormi, che superano probabilmente quelli di abbattimento e ricostruzione che, sempre secondo la pagina, per lo stesso stabile si aggirerebbero sui 150.000 Euro complessivi. Evidentemente qualcosa non va.
Il punto è che la messa in sicurezza è fondamentale per far partire la ricostruzione e va fatta in fretta, in quanto ci sono tantissimi edifici che hanno subito danni lievi ma, essendo adiacenti ad altri stabili fortemente danneggiati, non solo non sono accessibili ma rischiano di essere a loro volta coinvolti in eventuali nuovi danni dei vicini. Ovviamente il tutto sta rallentando se non bloccando qualsiasi intervento di ricostruzione vera.
I dati forniti sono di parte, ciò sia chiaro. Ma, se confermati, sono davvero preoccupanti. E la situazione negli altri paesi colpiti dal terremoto non sembra migliore. Salvo smentite che stravolgano l’interpretazione fornita da Torniamoaussita, credo che siamo di fronte a uno dei motivi principali per i quali la ricostruzione, leggere o pesante, pubblica o privata, non parte.

Luca Craia

lunedì 16 aprile 2018

Rita, Castelsantangelo e la comunità che prova a rinascere


Le comunità di persone sono fatte di simboli, di punti di riferimento, di capisaldi che fanno sì che chi vi appartiene possa trovarsi a proprio agio, a casa propria nel luogo in cui vive. E vivere in un luogo significa appartenere al luogo stesso, alla comunità che lo abita e ad ognuno dei membri di questa comunità. Il terremoto del 2016 ha rotto questa struttura delicata e particolare e ora ricostruire significa non soltanto ritirare su le case ma anche riallacciare, riannodare, rammendare questi fili sottili.
Rita è un punto di riferimento assoluto e indiscutibile per la comunità di Castelsantangelo Sul Nera. Il suo bar in piazza del Ponte c’è sempre stato, pieno di turisti ma anche luogo di incontro per gli abitanti del paesino. Chi ci è entrato, anche solo una volta, non può non ricordarlo, sia per la bontà del caffè, il cui profumo si sentiva da lontano, sia per la cortesia della proprietaria. Ma, soprattutto, quello che a me ha sempre impressionato è l’aria di casa, quell’entrare e uscire di gente del posto che faceva di quel bar un’istituzione, quanto la chiesa lì di lato o il Comune.
Ora Rita riapre, alla non più tenera età di 77 anni. Riapre ovviamente non in piazza ma tra le casette preconfezionate fornite dallo Stato, un luogo freddo e asettico che deve necessariamente cercare di ricostruire il calore del borgo, il tessuto sociale, la comunità. Ha coraggio, Rita, a ripartire dopo tutto quello che è successo. Ma non è solo coraggio, è amore. Questo è quello che definisce realmente una comunità: l’amore per la terra e per la gente che la calpesta. La riapertura del bar di Rita è un simbolo forte, è un fatto che dà speranza. L’amore per Castelsantangelo c’è, e la comunità può risorgere.

Luca Craia