lunedì 12 novembre 2018

Il Sindaco è orgoglioso di aiutare i terremotati. Ma usa oltre due milioni di Euro del terremoto per il municipio, che costava 400.000 Euro.


Il teatro Novelli, all'interno del Municipio di Montegranaro, come si presentava nel 2013

Il progetto di ristrutturazione del Palazzo Comunale di Montegranaro era nel programma elettorale della lista “Montegranaro Riparti”, la coalizione che ha vinto le scorse elezioni e che governa Montegranaro dal 2014. Coerentemente, il progetto è stato inserito nel piano delle opere pubbliche. C’è però una cosa strana: la ristrutturazione del Municipio, nei progetti iniziali, doveva costare 400.000 Euro. Solo che poi è arrivato il terremoto e, con il terremoto, sono piovuti, più che dal cielo, da Ancona, oltre 2.000.000 di Euro da destinarsi all’opera.
Interno del primo piano
Che il Municipio di Montegranaro non abbia subito danni dal terremoto del 2016 lo abbiamo detto e ridetto. Magari qualche crepa, certamente la torretta della campana, ma sono danni conseguenti al degrado in cui versava fin da prima. Quindi pare evidente che i soldi venuti da Ancona, soldi dei fondi per il terremoto, sono sostanzialmente soldi sottratti a opere che, invece, col terremoto hanno a che fare, eccome. 
Quindi stride un po’ leggere un comunicato stampa in cui Sindaco e Assessore alla Cultura si dicono "orgogliosi" di aver dato il loro contributo alla raccolta fondi promossa dall’ANFFAS Sibillini per la costruzione di una casa per disabili nell’area terremotata, sul territorio di San Ginesio. Aver concesso gratuitamente il teatro sicuramente fa onore ai nostri amministratori, ma ne fa molto meno aver accettato, senza colpo ferire, l’elargizione arrivata da Ancona. Altri comuni hanno rifiutato.
Rimane la stranezza di un progetto che, se prima costava 400.000 Euro, ora ne costa 2.500.000. Il terremoto cambia le cose e le persone. A quanto pare cambia pure i conti.

Luca Craia

Il Governo dei “bibitari” e la guerra contro i “pennivendoli”. La politica dell’insulto e la stampa minacciata.


Che in Italia ci sia un problema di libertà di stampa pare evidente a tutti e lo dicono anche studi esteri che relegano il nostro Paese insieme a Nazioni di ben altra storia e civiltà. La stampa è da tempo asservita al potere di turno, sia esso di governo o collocato più in alto, come in questi tempi. Ma attaccare la categoria intera dei giornalisti con epiteti sciocchi, puerili e irrispettosi (pennivendolo è un insulto sia per i giornalisti che, usato in termini tanto dispregiativi, per chi le penne le vende davvero, come me). Addirittura, minacciare leggi apposite, come una sorta di punizione versi chi ha veramente sputato veleno per mesi in piena malafede ma che comunque appartiene a una categoria essenziale per la democrazia, è pericoloso e molto preoccupante. Oltretutto ricorda molto da vicino una certa politica alla quale il “Governo del Cambiamento” non dovrebbe affatto assomigliare.
La stampa va tutelata, perché è imprescindibile nel processo democratico. Il giornalista svolge un ruolo fondamentale e, se si deve intervenire legislativamente, occorre farlo non nella direzione di limitarne la libertà ma prendendo ogni provvedimento perché essa sia tutelata. Purtroppo oggi la stampa è schiava, non è libera, è strizzata tra le esigenze di vendita del prodotto, la compiacenza verso il potere e il ruolo reale di informazione, sempre più secondario. Ma non è minacciando i giornalisti che si possa risolvere il problema. Anzi.
Anche i toni sono decisamente triviali. Un esponente di una realtà che esprime il governo del Paese dovrebbe parlare con misura, con termini appropriati e mai usando l’insulto. Lo stesso ci si dovrebbe aspettare da chi si candida, dall’opposizione, a governare. Oggi assistiamo a una trivialità nella classe politica vergognosa e preoccupante. Mai visto un livello culturale e umano così infimo, mai vista una lotta politica fatta di epiteti, insulti e minacce, in una dialettica che si occupa di tutt’altro rispetto a quelle che sono le reali esigenze del Paese e dei cittadini. E questo investe tutto l’arco costituzionale. Si cambi rotta finchè siamo in tempo.

Luca Craia

Discarica Torre San Patrizio. C’è anche il futuro ospedale a un passo. Gli altri comuni che fanno?


La questione dell’ampliamento della discarica di Contrada San Pietro, scoppiata all’improvviso nei giorni scorsi dopo che alcuni abitanti di Torre San Patrizio si sono accorti della delibera che ne autorizzava i lavori per poi allertare il Comitato "Tutela Ambiente", non riguarda soltanto il paese del Fermano sul cui territorio ricade l’area. Infatti, se il centro di Torre San Patrizio dista dall’impianto 2,7 chilometri in linea d’aria, non va molto meglio per i paesi limitrofi. Per esempio, Monte Urano è a 3,1 km, Campiglione (Fermo) a 2,6, Montegranaro a 4,9, Monte San Giusto a 6,6. Sono tutti molto vicini e tutti interessati sia ai miasmi che molto spesso si sentono in maniera molto distinta, sia a eventuali esalazioni dannose che potrebbero venire sia dalla vasca che dalla vicina centrale a biomasse, anch’essa in odore di ampliamento.
È molto preoccupante, secondo me, anche l’estrema vicinanza dell’area dove dovrebbe sorgere il nuovo ospedale generale di zona per la Provincia di Fermo, area che dista dalla discarica soltanto 1,8 chilometri. Costruire ex novo un ospedale a un passo da un luogo obiettivamente poco salubre pare quanto meno azzardato.
Tornando ai comuni limitrofi, è possibile che le amministrazioni comunali degli stessi non fossero informate dell’ampliamento della vasca. Ricordiamo che la vecchia vasca, di 119.000 metri cubi, è giunta a saturazione e quindi si rende necessario aprirne una nuova, stavolta di una cubatura bel superiore, ossia 380.000 metri cubi. Difficile quindi pensare che la quantità di materiale smaltito rimanga invariata come invece afferma il Sindaco di Torre San Patrizio, Giuseppe Barbabella. Tornando ai comuni limitrofi che, come abbiamo visto, sono molto vicini alla discarica, pur ammettendo che non ci sia stata informazione da parte di Torre San Patrizio, ora l’informazione c’è e ci si aspetterebbe che le amministrazioni comunali si attivino per scongiurare ogni pericolo per la cittadinanza, cosa che non è accaduta quando si trattò, nel 2012, dell’apertura della centrale a biomasse.

Luca Craia